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CANNIZZARO Stanislao

13 luglio 1826 - 10 maggio 1910 Nominato il 15 novembre 1871 per la categoria 18 - I membri della Regia accademia delle scienze dopo sette anni di nomina provenienza Sicilia

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente

Onorevoli colleghi. Uno splendore, ch'era fra noi, per la morte non si è spento; è salito alla immortalità. Il nome di Stanislao Cannizzaro basta all'elogio; anzi elogio non può esservi, che gli sia pari. (Bene). Senator quel nome, che fu eminente nella cattedra, negli istituti e nelle accademie; che vivrà insigne nei volumi dei dotti, negli annali della scienza: quel nome, che nel 1891 dalla Società reale di Londra meritò la grande medaglia Copley per contributo alla filosofia chimica, che fece il Cannizzaro compagno ai Volta, ai Matteucci, ai Plana: quel nome, che fu dato dal Mund, il benemerito socio straniero dell'Accademia de' Lincei, al premio da lui destinato ad incoraggiamento degli studi della chimica e della fisico-chimica; talmente vedevano gli stranieri personificata in Stanislao Cannizzaro la scienza chimica italiana: (benissimo) quel nome, che nel 13 luglio 1896 ebbe solennità e medaglia, che porta inciso: A Stanislao Cannizzaro, amici, allievi, ammiratori Italiani e stranieri nel LXX anno della nascita.
Culto della scienza e culto della patria si contesero il cuore del giovane al suo fiorire. Di Palermo la nascita e le scuole avute, andò nel 1845 ad apprendere dal Melloni, il più grande fisico di quel tempo, in Napoli, ove al Congresso degli scienziati di quell'anno lesse una memoria di fisiologia; e di là lo portò al laboratorio del Piria in Pisa il suo genio scientifico: ma la voce della nazionale riscossa lo richiamò in Sicilia nel 1847 fra i rivoltosi a 21 anno; il gennaio 1848, scoppiata la rivoluzione, lo vide ufficiale di artiglieria a Messina, e nel marzo fu l'eletto di Francavilla alla Camera dei comuni nel Parlamento generale di Sicilia, con l'ufficio del più giovane, quello di segretario.
Bombardata e caduta Messina il 7 settembre 1848, mandato a Taormina commissario del Governo provvisorio, vi tenne ferma la resistenza alle truppe borboniche; ma fu costretto a firmare nel 12 l'armistizio. Nel maggio 1849, dopo il disastro di Novara, perdute le speranze, i borbonici vittoriosi in ogni punto, emigrò a Marsiglia; di là fu in Parigi nell'ottobre; e ripigliò nell'esilio tutta l'attività scientifica. Allettato a rivedere il cielo d'Italia, accettò nel 1851 di professar chimica nel collegio nazionale di Alessandria; e nel 1855 salì la cattedra universitaria in Genova. Liberata l'isola nel 1860 per il prodigio di Garibaldi e dei Mille, volò a riabbracciare la madre in Palermo ed all'opera di stabilire e difendere i preziosi acquisti della libertà. L'insegnamento ricusato a Napoli ed a Pisa, preferì nel 1861 la cattedra in Palermo stessa: vi era stato studente, vi rientrava maestro. Ma, Roma libera e coronata capitale d'Italia, volsevi la sua devozione, e qui fu come astro accolto, che ha brillato nella Cattedra di chimica generale e nell'Istituto di chimica da lui fondato e diretto sino all'estremo delle sue forze; maestro, quanto eccellente, buono, amorevole, instancabile. Fu vita di laboratorio, cominciata a 19 anni, vita intiera di studio e lavoro.
Delle scoperte, che diede il Cannizzaro sin dal 1865 alla scienza; del grande pregio dei numerosi lavori pubblicati in volumi ed in riviste, han detto e diranno gli scienziati; ne conterà il tesoro la storia della chimica. Ben figurava il celebre chimico nell'Ordine civile di Savoia fra gli ornamenti dello Stato per i profondi studi e le dotte fatiche: ma più alto di tutte le croci e le commende nazionali e straniere, ond'era fregiato, saliva il suo merito, saliva la sua fama.
Il titolo di accademico, e, poteva anche essere quello del lustro dato alla patria, gli valse la scelta del Re a sedere in questo consesso, nel 15 novembre 1871. Poco tardò a mostrarvi valore ed autorità. Fu degli oratori più ascoltati ed efficaci nelle discussioni pur in materie politiche e di alta amministrazione e di pubblico diritto. Pronunciò nel 1876 il suo primo notevole discorso, che fu sul nuovo Codice penale, in ispecie sulla pena di morte. La sua parola, sempre assennata, successivamente portò con pensiero profondo ai più gravi argomenti; de' quali è principalmente da menzionare quello delle incompatibilità parlamentari; quello famoso dell'abolizione del macinato; quello caloroso della riforma elettorale politica e dello scrutinio di lista. Parlò innumerevoli volte utilmente ad opportunità; trattò a vari propositi della istruzione; e del bilancio dell'istruzione fu relatore valentissimo per due esercizi. Lungo molte sessioni, in più legislature, dal 1886 al 1904, il Senato lo ebbe Vicepresidente sommamente gradito e considerato, come sino alla fatal ora di questo pianto ha in lui onorato il suo decano.
Di quella voce, che qui risuonò, come nell'Istituto dalla cattedra, a chi l'intese l'eco si riprodurrà nell'udito, rammentando l'attenzione prestatavi; ma della vista amata di Stanislao Cannizzaro saremo privi per sempre. Non però egli è tutto estinto, vivendone la fama e la gloria. Immaginiamo il suo genio nelle superne sfere alla contemplazione di atomi chi sa mai quali e quanto differenti da quelli di quaggiù; e mandiamo a lui l'ultimo addio. (Vivissime approvazioni - Applausi).
Domani la sua spoglia sarà onorata di esequie.
Una commissione di senatori, designati dalla sorte, si unirà alla Presidenza in tale funzione.
PRESIDENTE.Ha facoltà di parlare l'onorevole Paternò.
PATERNÒ. Signori senatori. Concittadino del prof. Cannizzaro e cultore di chimica, non posso esimermi dal dire una parola di doloroso rimpianto per la grave sventura che ha colpito la scienza italiana.
La commozione che mi vince ed il tempo, non mi consentono che io lumeggi in questa Assemblea la grande figura di Stanislao Cannizzaro. L'affetto che mi legò a lui per un numero di anni che risale e si disperde nella mia infanzia (perché lo rammento fin dal 1852, quando veniva a Novi Ligure per tenere a battesimo mio fratello), la consuetudine giornaliera della vita, la comunità degli studi mi metterebbero in grado, se avessi la calma necessaria, di poter rivelare tutta l'anima sua, tutta la sua intelligenza. Ma non posso farlo, né debbo farlo. Dirò soltanto che come patriota egli era il solo superstite del Parlamento siciliano del 1848, di quest'ultimo Parlamento siciliano che se da una parte rappresenta la più antica tradizione parlamentare nella storia del mondo, fu nella storia d'Italia il primo Parlamento che abbia proclamato altamente l'unità nazionale.
"Che benedica Iddio ed ispiri i voti del Parlamento indirizzati a questo santo fine; ch'Egli riguardi benigno la terra di Sicilia, e la congiunga ai grandi destini della nazione italiana, libera, indipendente ed unita".
Con questi auguri e con questi propositi fu inaugurato da Ruggero Settimo il 25 marzo 1848, il nostro Parlamento.
Dello scienziato non mi è possibile neanche accennare l'opera. Dirò soltanto che, quando si festeggiò nel 1896 il settantesimo anniversario della sua nascita, la Società chimica di Londra, rivolgeva a lui un indirizzo nel quale erano scritte queste parole:.
"tra i fondatori della scienza chimica, il vostro nome passerà negli annali della scienza nostra in così alto grado di onore e stima, da essere congiunto a quello dei vostri grandi patrioti: Galilei, Torricelli, Volta e Galvani".
(Benissimo).
Né meno calorosi erano gli altri indirizzi venuti da ogni parte del mondo. Ma egli nel discorso di ringraziamento, cominciava con queste parole: “non temete che il coro degli elogi che avete udito negli indirizzi letti e che si ripete nelle lettere e nei molti telegrammi giunti oggi al Comitato, mi faccia montare i fumi al cervello”: (Bene).
Il valore dello scienziato era indicato da tutti gli indirizzi che sono sintetizzati in quello della Società chimica di Londra: il carattere dell'uomo è affermato nella sua risposta! (Bene, bravo, approvazioni vivissime).
CIAMICIAN. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
CIAMICIAN. Onorevoli colleghi. Non avrei mai pensato che avrei dovuto prendere la parola per la prima volta in quest'Aula in una circostanza così luttuosa. Dopo le elevate parole dell'illustre Presidente e dopo le nobili parole del maggiore allievo del prof. Cannizzaro, io potrei tacere; ma considero mio dovere, essendo io pure stato allievo di questo nostro grande chimico, di commemorarlo in questa Assemblea per testimoniare la grande riconoscenza che gli devo.
Stanislao Cannizzaro è stato un riformatore della chimica; un grande riformatore in questo senso: vi sono dei periodi nello sviluppo della scienza in cui le verità non possono essere generalmente riconosciute; sono, per così dire, latenti, vi sono delle contraddizioni, i fatti non appariscono alla mente di tutti con quella chiarezza che realmente sarebbe necessaria. La conseguenza di questo stato di cose è un generale scoraggiamento; si abbandonano lo idee perché sembrano troppo ardite, perché non si ha il coraggio d'investigare il modo di metterle in concordanza coi fatti. Questo periodo attraversò la chimica verso la fine della prima metà del secolo scorso. Le leggi e le ipotesi vi erano; vi era l'ipotesi fondamentale - si trattava dell'ipotesi atomico molecolare - ma per certe sconcordanze e certe contraddizioni non si osava affermare che questa ipotesi potesse servire di base all'ulteriore sviluppo della scienza. Cannizzaro con la sua grande opera di critica scientifica dimostrò che queste contraddizioni erano soltanto apparenti, che la teoria atomica doveva essere applicata alla spiegazione dei fatti generali, che non vi era nessun reale disaccordo fra l'ipotesi di un altro grande italiano, Amedeo Avogadro, ed i fatti allora conosciuti. In questo modo l'esperienza fu messa in accordo con l'ipotesi fondamentale e questa poté trionfare. Ma non trionfò subito. Come sempre accade, le menti non seppero tosto intravedere la nuova luce che si spandeva dalle idee del nostro Cannizzaro. In un celebre congresso, tenuto a Karlsruhe nel 1860, egli espose le sue vedute, ed un illustre contemporaneo scrisse più tardi che l'impressione riportata fu che gli cadde la benda dagli occhi e quello che prima sembrava contraddizione e confusione, si presentava con chiarezza meravigliosa. Questa è l'opera per la quale il Cannizzaro sarà sempre ricordato nella storia della chimica. Ma il Cannizzaro non è stato soltanto un grande scienziato: è stato anche un grande maestro. Egli stesso lo diceva: l'opera mia è quella di un modesto maestro di scuola! Egli infatti aveva saputo congiungere l'opera dello scienziato con quella del docente, cosa che non a tutti è data. Molti trovano che l'esercizio dell'insegnamento può recare danno alla propria attività scientifica, ma il Cannizzaro questa contraddizione non ha mai sentito. Egli traeva l'ispirazione dalla scuola e portava nel laboratorio le idee che gli venivano alla mente durante la lezione orale.
Il Cannizzaro fu maestro non soltanto nella scuola, ma anche nel laboratorio. È una cosa strana come l'attitudine a diventare un grande capo scuola dipenda da fatti che è difficile precisare. Sembra che essa prenda origine dall'entusiasmo che il maestro sa infondere nei propri allievi e dalla libertà che lascia loro perché ciascuno trovi la propria via. Non è indicando la strada da seguire che si avviano i giovani a lavorare per il progresso della scienza, ma bensì infondendo loro il proprio sacro fuoco.
Questo il Cannizzaro lo seppe fare meravigliosamente.
Ed ora, onorevoli colleghi, egli giace nella sua scuola, là ove la sua parola ha echeggiato, là dove ha suscitato tanti entusiasmi. La sua salma, che riposa tra i fiori, circondata dai suoi scolari, è una visione commovente, è una apoteosi.
Nell'ultimo congresso che la Società per il progresso delle scienze tenne a Padova nello scorso settembre, l'illustre presidente del Consiglio, in un poderoso discorso che rivelò, per così dire, la scienza italiana a se stessa, chiamò il Cannizzaro: il grande patriarca della chimica italiana! E noi lo consideravamo come tale, noi lo consideravamo come eterno, giacché non ci si può abituare a che gli uomini grandi debbano finire!
Invece Cannizzaro è morto! Ma non è morto per noi: la sua memoria rimarrà sempre scolpita nei nostri cuori. Nella scienza egli è già immortale! (Approvazioni-Applausi).
CREDARO, ministro della pubblica istruzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CREDARO, ministro della pubblica istruzione. Onorevoli senatori! Un'altra di quelle figure nobilissime, che sembrano riassumere nella loro vigorosa esistenza tutta la vita migliore, tutte le idealità più feconde e le più alte aspirazioni del nostro paese, assurto a vita nazionale, si è spenta!
Stanislao Cannizzaro fu uno di quegli spiriti sovrani che, e nei campo del pensiero, e nella pratica della vita, sentono incessantemente lo stimolo dell'ideale. Il giovane scienziato, che, appena diciannovenne, a Napoli, si fa ammirare nel Congresso degli scienziati per una originale memoria di fisiologia, tre anni dopo, scoppiata la rivoluzione, diventa ardito patriota, segretario della Camera dei comuni, commissario del Governo provvisorio, capitano d' artiglieria, e alla causa della libertà consacra le forze dello spirito ardente, del corpo vigoroso. In Francia prima, nell'ospitale Piemonte di poi, il Cannizzaro fu di quella schiera gloriosa di esuli illustri che ci diedero un'Italia.
Dell'esilio fu frutto quel "Sunto di un corso di filosofia chimica", che collocò il Cannizzaro fra i primi chimici del tempo e che, con altre opere geniali, legò il nome di lui ai grandi progressi della chimica nella seconda metà del secolo XIX.
Come tutti i grandi scienziati, egli stendeva l'ala del suo ingegno fervido e acuto, oltre i confini segnati alla disciplina speciale. Di questa singolare versatilità e, direi quasi, universalità della mente del Cannizzaro, come scienziato e come maestro, infiniti esempi registra la storia della cultura e della scuola nazionale. Di qui si alimentava quella fiamma di giovanile entusiasmo, onde egli si accendeva nella discussione e che dava luce e calore alla sua parola grave solenne: di qui quella energia tenace, che egli metteva nell'attuare i ben concepiti e maturati disegni.
Ne sono prova cospicua l'istituto chimico da lui fondato e diretto, nell'Ateneo della capitale, e il laboratorio chimico centrale delle gabelle, al quale impresse un indirizzo rigorosamente scientifico.
Del Consiglio superiore della pubblica istruzione il senatore Cannizzaro fu quasi ininterrottamente membro e Vicepresidente, durante i lunghi anni del suo magistero universitario; e in quell'alto consesso, che accoglie quanto di più eletto ha la scienza e il sapere italiano, la sua parola, in tutte le questioni più gravi, era ascoltata con attenzione, più che deferente, religiosa.
Ad attestare finalmente la fama europea dell'insigne professore dell'Università di Roma, basti ricordare la istituzione, che, in onore di lui e a perpetuo ricordo degli eminenti servigi da lui resi alla scuola, alla scienza, e all'umanità, un benemerito socio straniero della nostra R. Accademia dei Lincei, volle di recente sorgesse in Italia, per il conferimento di un premio internazionale per gli studi di fisica e di fisico-chimica, istituzione intitolata al nome glorioso di Stanislao Cannizzaro.
Il Consiglio dei ministri, interprete della volontà del Parlamento e del paese, deliberò che i funerali del padre della chimica italiana siano fatti a cura e a spese, dello Stato, perché le grandi scoperte della scienza elevano la dignità di tutto un popolo, ne accrescono il prestigio e la gloria, e sono viva sorgente di ricchezza e di benessere economico e morale per tutte le classi. (Approvazioni generali).
TODARO. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
TODARO. Mi induco a prendere la parola, dopo i discorsi eloquenti, coi quali il Presidente gli altri oratori hanno commemorato Stanislao Cannizzaro.
Ho sentito la voce della scienza della quale si sono fatti eco due eminenti chimici che sono stati scolari di Stanislao Cannizzaro: ho sentito le parole nobilmente dette dal ministro della pubblica istruzione in nome del Governo e delle onoranze che giustamente ad un genio come il Cannizzaro il Governo ha stabilito tributare.
Permettetemi ora che io mi renda interprete del sentimento del paese per unire la sua voce al coro, di quelle che hanno echeggiato nel Senato in commemorazione di Stanislao Cannizzaro.
Il dolore del paese è universale e profondo, ed io mi sento autorizzato di associarmi a questo tributo di riconoscenza e di venerazione, a nome della Sicilia, che gli ha dato i natali, e dell'Italia intera che vanta questo genio, che il mondo intellettuale ha onorato ed onorerà sempre.
La perdita di Stanislao Cannizzaro non è solo perdita dell'Italia e della Sicilia, è perdita di tutta la civiltà umana.
Però perdita momentanea e materiale, perché il suo spirito resterà immortale, e il suo nome venerato finché l'umanità seguirà la via del progresso. (Approvazioni).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 11 maggio 1910.