senato.it | archivio storico

CADORNA Raffaele

09 febbraio 1815 - 06 febbraio 1897 Nominato il 15 novembre 1871 per la categoria 14 - Gli ufficiali generali di terra e di mare. Tuttavia i maggiori generali e i contrammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività provenienza Lombardia

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Domenico Farini, Presidente

Signori senatori! Lunghi servizi ed alti gradi militari, guerre combattute, posto notevole nel Parlamento, difficili missioni militari e politiche ad un tempo, resero il conte Raffaele Cadorna ragguardevole fra i contemporanei. La liberazione di Roma ne unì al maggiore rivolgimento dell'età moderna la memoria, che trapassando l'ambito della nazione, andrà col ricordo del fatto nei secoli lontana.
Di famiglia piemontese per il fratello Carlo, uno dei precursori del risorgimento, segnalata, sulle orme del padre militò.
Allo scoppiare dell'insurrezione lombarda, nella piena vigoria dell'età, per essere nato l'anno 1816, emerse subito sui commilitoni, nel numerato giro dei quali s'era prima ristretta la reputazione sua di buon ufficiale del genio proveniente dalla fanteria, in cui aveva servito sei anni come soldato distinto e sottotenente.
Da allora il capitano Cadorna mandato fra i primi a Milano, dove egli e la madre sua erano nati, nell'istruire e disciplinare gli zappatori del Governo provvisorio, nell'ordinare il servizio del genio, munendo e difendendo le balze dello Stelvio acquistò il grado di maggiore insieme a bella notorietà. Indi, sui primi del 1849, l'elezione a deputato per la seconda legislatura e poi per tutte l'altre compresa l'undecima ad eccezione della quarta: la nomina, detto fatto, di primo ufficiale, o come ora si dice sottosegretario di Stato del dicastero della guerra nel Ministero, che fu chiamato democratico. Al che lo designarono altresì i discorsi profferiti contro l'intervento in Toscana dal Gioberti divisato, ed intorno alle condizioni dell'esercito la vigilia della seconda guerra d'indipendenza, da lui nei pochi giorni del marzo in cui tenne l'ufficio, per incarico del Governo, disdicendo a Milano la tregua, intimata.
Rientrato dopo Novara nelle file piemontesi, ebbe di lì a poco licenza di seguire nella Kabilia le armi francesi, a scuola di guerra guerreggiata. Dissero le insegne della legione d'onore come si diportasse.
Comandando il battaglione tratto dal 12° fanteria, in Crimea mostrò nuova perizia e valore. Perché nella giornata della Cernaja il primo attacco fu indugiato dai trinceramenti, sotto la sua direzione eretti su certa posizione avanzata, detta del zig-zag, e nel combattere, contuso in fronte, meritò la croce di Savoia. Con lo scelto manipolo anche egli pertanto contribuì a rilevare la fama dell'esercito e la fortuna d'Italia; tanta virtù per arcane vie istilla ai popoli la gloria, quanto la diffalta dello spirito e la perdita della reputazione militare li accascia e li intristisce (Benissimo).
Capo di Stato maggiore, col grado di luogotenente colonnello, della quinta divisione che nella battaglia di San Martino, appoggiata al lago di Garda, costituiva l'ala sinistra, dall'albeggiare, guidando una ricognizione combatté i ripetuti assalti della giornata ed ebbe ucciso il cavallo che cavalcava. L'intelligenza ed il coraggio addimostrati in quel memorando combattimento gli valsero la promozione a colonnello di Stato maggiore.
Quando dopo Villafranca i governi ed il popolo dell'Italia centrale con felice intuito compresero che dalla secolare servitù l'Italia non si redimerebbe se non a patto di mostrarsi, coll'armi in pugno, forte e risoluta allo sbaraglio, fu maggiore generale e ministro della guerra in Toscana. Raffermò la disciplina, accrebbe il numero delle truppe, opportunamente le arredò; per vesti, per regole le foggiò all'ordinanza dell'esercito piemontese, del quale, ancora prima dell'annessione, diventarono come un membro aggiunto. Ad annessione compiuta, quale primo commissario, tracciò la frontiera verso Francia.
Nella campagna delle Marche ed Umbria che, dileguata ogni emulazione di capi e di scuole, avrà lode militare non inferiore a quella del disegno politico, sia per il concetto informatore, sia per l'adeguato apparecchio e la perfetta esecuzione comandò la 13ª divisione. la quale, a Fossombrone distaccata dal IV Corpo operante lungo l'Adriatico, per Cagli, Scheggia, Gubbio e Macerata, stando a cavaliere dell'Appennino, lo mantenne congiunto col V, che dalla Toscana per la valle del Tevere procedeva. Non si trovò pertanto alla espugnazione delle città sui due versanti, né a Castelfidardo, ma solo all'investimento d'Ancona dal lato di Borgo Pio, la cui porta sembrò additargli col nome fatidico l'altra più memorabile che dieci anni dopo, nello stesso mese di settembre sforzerebbe. (Bene). La commenda di Savoia constatò quanto in quell'assedio, e più particolarmente nel disporre la difesa del Borgo e l'audace occupazione del Lazzaretto si distinguesse.
Neppure assistette alla sfortunata battaglia con che incominciò la guerra per il riscatto della Venezia, né a fatti degli di particolare menzione nelle incerte vicende del non lieto fine, nel quale, alla testa del V corpo d'Armata, anelò invano di restituire la sorte delle armi oltre il Torre.
A mezzo settembre sollevatasi la marmaglia di Palermo egli ebbe il supremo comando delle truppe che in breve ora la vinsero e la domarono. Già erano nella città penetrate, quando egli giunse ed usò la piena potestà avuta per restaurare l'ordine. Vi aveva nel 1861, come luogotenente generale comandante militare di tutta l'isola, risieduto, e bene conosceva le fazioni e le cupide brame onde traevano lena. I forsennati che avutala per poco in balia, della città fecero scempio, ed a tutta quanta avrebbero dato il guasto se due valorosi, il sindaco ed il prefetto, non avessero tenuto fermo, punì; ristabilì la civile convivenza oltraggiata e rotta. Né oltrepassò il segno: anzi lasciò documento degli intenti che ispirare, dei nobili sentimenti che temperare devono i rigori soldateschi nelle civili sedizioni.
I resultati ottenuti in quel frangente lo tolsero nel 1869 dal comando della divisione di Firenze e lo fecero capo delle truppe riunite nell'Emilia, per la tassa sulla macinazione tutta sossopra. Usò umana risolutezza: ratto operando, rigido provvedendo antivenne o soffocò tumulti che pietosa mollezza avrebbe inviperiti, costringendo più tardi a spietata repressione.
Il saggio consiglio, gli opportuni avvedimenti di che aveva ripetutamente fatto così buona prova gli procurarono il sommo onore, la fortuna di comandare le cinque divisioni che nel 1870 liberarono Roma. Missione più politica che militare, una gran mostra di forze ne risparmierebbe l'uso. Le operazioni di guerra non dovevano in ogni caso addensare nembi che, a cose quiete, si muterebbero in procella. Alla peggio lo scoppio delle armi sarebbe colpa dell'accozzaglia cosmopolita che, sotto colore di religione si era attribuita una iniqua inframettenza. Più che abbattere le mura e sgominare i papalini che in armi le guarnivano bisognava vincere i pregiudizi, rassicurare gl'interessi all'ombra dei quali la temporale signoria dei chierici, all'Italia infesta, aduggiava la chiesa, accorava i sudditi. Merito del Cadorna se il fragore della grande caduta fu salutato come esplosione liberante l'Europa dagli allarmi e dai rischi d'un permanente pericolo: merito di lui i primi passi alla soluzione del pauroso problema, il fondamento delle provvisioni per le quali la città eterna fu alla nazione restituita. (Bene). Questo merito premiarono il gran cordone dell'Ordine militare di Savoia, e la dignità senatoria a cui fu elevato nel 1871: festeggiandosi il primo quarto di secolo dal lieto avvenimento, il Re coll'Ordine supremo della SS. Annunziata confermava la sua alta benevolenza e la gratitudine nazionale al vecchio venerando, che della gloriosa unione era stato artefice (Benissimo).
Questa, se il molto si possa fugacemente raccogliere in poco, fu la vita spenta in Torino a venti ore il 6 di febbraio, i resti mortali della quale ebbero sepoltura accanto a quelli del fratello a Pallanza, città di loro famiglia.
A quella salma non ancor fredda, a quella tomba non ancor chiusa, né carità, né pietà rattennero i mansueti, che cielo e terra pretenderebbero a ministri delle loro passioni, dal tentare d'infliggere onta: (Bene) ma indarno. Perché Raffaele Cadorna.
“che fu al dire e al far così intero”.
Patria e religione in vita ed in morte comprese in un solo sentimento, nello stesso affetto, nulla aveva da sconfessare, né sconfessò; nulla aveva da ritrattare, né ritrattò (Benissimo).
E la memoria di lui riposa onorata e vivrà nella storia congiunta al nome immortale di Roma capitale d'Italia. (Vivissime approvazioni generali - Applausi). [...]
FALDELLA. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FALDELLA. [...] La liberazione di Roma chiama pure un rapido accento dell'animo mio verso la memoria di un altro eminente patriota, mio comprovinciale per famiglia, Raffaele Cadorna.
Per la perdita lacrimata di Costantino Perazzi, presiedendo io, immeritatamente, al Consiglio provinciale di Novara, sono certo di rappresentare il sentimento patrio della mia provincia, associandomi alla gloriosa commemorazione, che il Presidente nostro fece di Raffaele Cadorna, a cui quel consiglio fra i primi mandava un telegramma di esultanza dopo il gran giorno, in cui con le armi pietose egli affrancava definitivamente la capitale d'Italia, la libertà del pensiero e la religione del cuore dai ceppi del potere temporale dei papi.
Propongo che il Senato le condoglianze ai figli ed alla vedova di Raffaele Cadorna [...]
COSTA, ministro di grazia e giustizia.Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
COSTA, ministro di grazia e giustizia.[...] Un altro collega invece, ed è il generale Cadorna, ha potuto giungere al tramonto della vita adagiato nella sua coscienza di soldato valoroso e di uomo onesto, e circondato dalla stima che rimunera i cittadini meritevoli di plauso e di gloria.
Di lui disse con tanto splendore di forma e con tanto vigore di concetti il nostro Presidente, che nulla potrei aggiungere. Rileverò soltanto come nel Cadorna ardessero vivissimi due sentimenti: l'amore alla patria ed alla carriera delle armi, ed insieme una profonda fede, un profondo sentimento religioso.
E questi due sentimenti, talora ritenuti meno atti a stretta unione, si erano nel Cadorna, educato al culto dei più alti ideali, così pienamente fusi, che vibrarono con mirabile armonia nel giorno in cui si compié uno dei più grandi avvenimenti per l'Italia nostra; il giorno in cui l'Italia non solo poté dirsi fatta, ma fu compiuta.
Io auguro all'Italia molti cittadini i quali sappiano così splendidamente riunire, come le riunì il generale Raffaele Cadorna, le virtù civili colle virtù militari. (Bene, bravo, approvazioni).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni,6 aprile 1897.