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CADORNA Carlo

08 dicembre 1809 - 02 dicembre 1891 Nominato il 29 agosto 1858 per la categoria 02 - Il presidente della Camera dei deputati e per la categoria 03 - I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio e per la categoria 05 - I ministri segretari di Stato provenienza Piemonte

Commemorazione

 

Domenico Farini, Presidente
Purtroppo, signori senatori, le nostre speranze furono deluse, i voti del Senato inascoltati.
Carlo Cadorna è spirato iersera. Gran parte in molti dei maggiori avvenimenti di oltre mezzo secolo; insignito delle primarie dignità del Parlamento, del Governo, dello Stato, Carlo Cadorna, era un nobile superstite della forte generazione che tanto sofferse ed operò.
Nato a Pallanza l'8 dicembre 1809, laureato nella legge, fu dei giovani che a Torino, verso il 1830, sotto colore di letterari convegni, mettevano in comune i liberi pensieri, i patriottici propositi. Libertà, indipendenza erano la loro meta; scarsi, non uniformi, incerti i mezzi.
Le lettere, gli asili infantili; opere di carità; giornali, associazioni d'agricoltura; educare, istruire, suscitare il sentimento dei comuni diritti trattando dei comuni bisogni, di tutto facevan via, di tutto leva al grande intento.
E Carlo Cadorna, che nel foro aveva buona rinomanza, che fra i coetanei avanzava per vigore d'intelletto, che non si sbigottiva rimpetto agli ardui cimenti cui reputasse congiunte le sorti della patria, al sorgere dei tempi nuovi vi trovava nuovo e largo campo per applicare il savio consiglio, l'indomato affetto. (Assai bene).
Il 1848 entrava in Parlamento con tutte le impazienze con che l'inesperienza acuiva le aspirazioni più alte. Ma ben presto il senso dell'opportunità imprimeva novello indirizzo alla sua mente, temperava la ingenua foga di lui nato al bello, all'ottimo, all'ideale.
Ministro della pubblica istruzione nel Ministero che spavaldi entusiasmi condussero ai cruenti lutti di Novara; a Novara aveva ammirato l'eroismo del Re, votato all'Italia ed alla morte; ne aveva raccolto il sacrificio sublime: era andato per tregua al vincitore.
Nuovamente ministro dello stesso dicastero col conte di Cavour lo confortò la gioia suprema di appartenere al governo nei giorni felici delle nazionali vittorie. (Bravissimo).
Nella Camera, uno dei maggiori della propria parte, saggiamente provvide a darle coesione e saldezza; aiutò ad instaurare presso di noi le norme, le buone consuetudini parlamentari.
Conscio che gli uomini politici, per utilmente versarsi nella cosa pubblica, non devono, dalle transazioni aborrenti, star pronti soltanto alle offese, non procedere istecchiti quasi fra le ritorte di regola claustrale, aveva saputo, a tempo, non rinnegare i principii, ma colla scorta della ragione dei tempi e dello stato propiziarne il trionfo. (Benissimo).
Al connubio delle parti affini per medesimezza d'affetti e di intenti, all'unione preparatrice della riscossa, aderì, cooperò volenteroso.
Senatore e deputato, vicepresidente d'ambedue i rami del Parlamento, presidente del secondo per due sessioni (7 gennaio 1857, 14 luglio 1858 [sic]) non vi fu controversia importante cui non mettesse il consiglio illuminato; a nessuno fu secondo nell'esercizio d'un'autorità che come nella fiducia dei colleghi ha radice, nel consenso delle menti e dei cuori trova il maggior presidio.
Uomo dalle grandi abnegazioni fu nel 1865 prefetto di Torino da recenti lutti e insanie offesa; sui primi del 1868, ministro dell'interno, volgendo aspri eventi.
Il suo nome era malleveria, in quei dolorosi frangenti, che alla libertà, ad ogni legittima aspirazione non sarebbe arrecato detrimento. (Approvazioni).
Consigliere di Stato, presidente dell'Alto consesso, spassionatezza ne segnò la onesta via, dottrina ne informò, sapienza ne illuminò i verdetti.
Gli sopravviverà la sacra tradizione!
Ministro d'Italia a Londra per quasi cinque anni, giovò alla reputazione ed alla sicurezza dello Stato, sopratutto nei paurosi momenti che seguirono la guerra del 1870, Roma divenuta capitale.
Presidente del contenzioso diplomatico, mise in servizio dei più delicati interessi la dignitosa prudenza e la squisita sagacia ond'era maestro. Giurista profondo, avveduto statista, aveva ficcato lo sguardo indagatore in ogni astrusa controversia. Non vi fu argomento che interessasse lo svolgersi della vita italiana, di che non trattasse o colla voce o colla penna.
Quello dei rapporti fra Chiesa e Stato fu da lui in ogni tempo, in tutte le sue fasi ed in ogni sua faccia con profondo studio sviscerato: con fervore giovanile, con febbrile assiduità vi intese negli ultimi anni: ne furono ansiosamente preoccupati gli ultimi giorni, le ultime sue ore.
Credente, religioso, affinava la fede staccandola da ogni mondano interesse; fede e patria, dolcemente si sposavano nella sua bell'anima.
Non vada sperduto tanto lume di intelletto e di scienza! (Bene!)
Schivo da ogni apparenza chiassosa e volgare, ripugnante da ogni lustra, Carlo Cadorna, nel Governo e nel Parlamento fece prova di esimia fortezza.
La fronte serena, la cortesia in volto, la ostentazione bandita dal contegno tiravano a lui ogni bennato.
Il pensiero spirava pace, il discorso suo era fatto di bontà e di rettitudine, che lo ponevano al di fuori ed al disopra di ogni scabro dissidio. Innalzava fino a sé i contradditori. Visse rispettato, amato; morì venerato.
Se la mia voce, signori senatori, eco del vostro affetto, giunga allo sconsolato fratello, dei fasti italiani benemerito, continuatore fra noi del casato illustre e delle elette aspirazioni, essa gli rechi il vivissimo rimpianto del Senato. (Bene, bene)
E, a degno conforto di tanto lutto e dell'animo invitto gli dica: una gloria del Parlamento essere scomparsa; essere scomparso uno degli antichi che, nei palpiti del gran cuore, sentirono la rigenerazione d'un popolo; la desiderarono con impeto, la maturarono col senno, con tenacia la vollero; e gli ripeta: la morte di Carlo Cadorna avere tolta alla patria una forza, una virtù! (Benissimo, approvazioni vivissime generali).

FERRARIS, ministro di grazia e giustizia. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
FERRARIS, ministro di grazia e giustizia. Onorevoli senatori! Prima che io sciolga il debito che ha il Governo di rimpiangere la morte testé avvenuta dell'illustre nostro collega, permettetemi che in mio nome personale io faccia qualche ricordo.
Sono pochi giorni, il giorno medesimo che precedette la malattia, egli dovette venire a parlarmi; egli avrebbe potuto, valendosi dell'antico vincolo di amicizia, pregarmi di andare da lui; ma egli, come primo tributo di quella uguaglianza che riconosceva in tutti i cittadini, si portò al palazzo del Ministero.
Egli veniva per un'opera di pietà, ed io, troppo felice di poterlo assecondare, perché certo non sarebbe mai venuta da lui una domanda che non fosse improntata a giustizia; lo interrogavo, valendomi dell'antica amicizia, del modo con cui egli ripartiva la sua vita.
Egli mi diceva, che durante il giorno attendeva agli affari del suo ufficio e che alla sera soltanto si poteva consacrare alla lettura, alla quale egli era ancora adatto per la fermezza della vista che lo assisteva.
Parlando de' suoi scritti, non poteva a meno di ricordargli come avessi veduto annunziato nei giornali la prossima pubblicazione di una sua opera voluminosa, nella quale avrebbe trattato i più ardui argomenti: egli rispose, con la semplicità dell'uomo che sente di dover pagare un tributo alla scienza, ma nello stesso tempo allo Stato, che vi aveva consacrato tutte le sue cure da otto anni a questa parte, ma che sperava che questa fosse l'ultima testimonianza che darebbe alla patria ed alla scienza, facendo vedere in qual modo egli credeva di poter conciliare quei due grandi ideali di cui parlava l'illustre nostro presidente.
Pagato questo debito, io debbo dire qualche parola a nome del Governo per l'uomo politico e per l'amministrativo.
Come uomo politico egli appartenne alla falange di quelli che portarono la parola e la opera efficace fino dalla prima Legislatura.a cui fece poi seguito quella italiana.
Egli fino d'allora si comportava da quell'uomo che le sue opere successive manifestarono. E se quell'uomo meritava di morire a Roma investito .di una delle principali cariche dello Stato, era il ministro che nei nefasti giorni del marzo 1849 fu testimonio della saldezza nella fiducia delle sorti della patria di Vittorio Emanuele allorché saliva al trono (Benissimo).
Ma non solo per ciò il Governo deve rimpiangere la perdita dell'uomo illustre, ma anche per l'opera che egli portava assidua, efficace ed intelligente per gli studi del decentramento, che è uno dei principali argomenti dell'attuale Ministero.
Egli vi portava non solo il frutto della sua esperienza, quanto quell'ardore nel pubblico bene, che tutti voi, che avete conoscenza del modo con cui si adempiono i pubblici uffici, sapete apprezzare.
E l'opera sua non sarà interamente perduta, perché rimane ne' suoi collaboratori quell'esempio e quella sapienza che noi speriamo di veder tradotti in quelle leggi che debbono rassicurare maggiormente l'azione efficace del Governo, senza disperdere quello slancio e quell'entusiasmo che dobbiamo aspettarci da tutte le influenze locali.
Sia dunque pace all'anima di Carlo Cadorna, ché nessuno meglio di lui ha speso la vita in pro della patria e in pro anche di quelle idee alle quali la grandezza e la gloria della patria si deve sempre ispirare. (Bene! Bravo!).
Senatore PERAZZI, Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onor. senatore Perazzi.
Senatore PERAZZI. Consenta il Senato che io mi associ a commemorare Carlo Cadorna a nome della provincia di Novara, per la quale egli per molti anni prestò l'opera sua sapiente ed efficace.
La provincia di Novara seguì questo suo diletto figlio in tutti gli uffici politici ed amministrativi che ci ha rammentato il nostro illustre presidente.
I suoi concittadini lo veneravano ed amavano, ammirando in lui la virtù del sacrifìcio, il sentimento di giustizia, la singolare modestia e bontà d'animo.
Io sono certo che la memoria di Carlo Cadorna vivrà nella sua provincia come esempio singolare di virtù, di amore di patria e di sapienza civile e politica. (Bene).
Senatore TABARRINI. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
Senatore TABARRINI. La morte del senatore Carlo Cadorna come è un lutto per il Senato, cosi è una perdita irreparabile per il Consiglio di Stato, di cui tenne la presidenza dal 1875 a oggi. A me che fui testimone per tanti anni dei suoi atti e conobbi le sue rare qualità di mente e di cuore, consentite, o signori, che aggiunga una parola di sincero compianto a quelle nobilissime dette dal nostro presidente.
Nel Consiglio di Stato stette il Cadorna dieci anni come consigliere, e vi lasciò documenti della sua scienza giuridica e della sua pratica amministrativa. Assuntane la presidenza dopo il suo ritorno dall'ambasciata di Londra, vi portò l'autorità d'un nome illustrato dai più alti uffici di Stato, e la riputazione di dottrina e di integrità di magistrato. Succedere ad un uomo come il Des Ambrois, non era cosa agevole, ma il Cadorna seppe governarsi con tanto senno da non fare accorti del mutamento.
Egli seppe conservare le tradizioni antiche ed onorate del Consiglio di Stato subalpino, nel quale avevano avuto seggio gli uomini più riputati del Piemonte, accomodandole con giudizio ai tempi nuovi, dei quali egli era stato fautore ardentissimo.
Esempio a tutti nello scrupoloso adempimento del dovere, la severità della disciplina sapeva temperare cn la dolcezza d'una natura aborrente da ogni prepotenza. Tollerante di tutte le-opinioni, lasciava sempre largo campo alla discussione anche quando si avviava a conclusioni che non erano le sue. Egli considerava il Consiglio di Stato come una famiglia, nella quale il capo deve conservare l'unione e la concordia; e bisogna pur dire che rare volte l'autorità d'un superiore fu più rispettata, ed i consigli accolti con maggiore deferenza.
Mirò sempre a tenere alta la riputazione e il prestigio del Collegio che egli presiedeva, ed a questo fine non ripugnava dall'eccitare provvedimenti dal potere centrale, con insistenza e fermezza mirabile.
Ed ora questo Capo circondato da tanta venerazione e da tanto affetto, ci manca quasi di improvviso, ed a noi non resta che il dolore della sua perdita e la memoria delle sue virtù. Ma il nome di Carlo Cadorna oltre che nei nostri cuori, è scritto nella storia della patria nostra, e ciò gli assicura quella fama perenne che avranno dai posteri quanti posero l'ingegno e l'opera a costituire l'Italia ad unità di regno e a dignità di nazione. (Bene, benissimo).
Senatore ROSSI ALESSANDRO. Associandomi ai tributi di compianto e di onore resi in quest'aula alla memoria di Carlo Cadorna, mi sia concesso di esprimere, oltre il mio dolore privato, un desiderio che non dubito sarà condiviso dall' intiero Senato.
Certamente non sono le manifestazioni esteriori quelle che ponno aggiungere valore a un cordoglio cosi vivo, che possiamo dire cordoglio nazionale.
Domando al presidente che voglia interrogare i signori senatori a che il banco della presidenza venga per 15 giorni addobbato a lutto in segno della più profonda condoglianza del Senato.
Come ha benissimo detto il senatore Tabarrini, onorare gli uomini benemeriti della patria come lo fu Carlo Cadorna, equivale additarli alle nuove generazioni per seguirne l'esempio. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Come il Senato ha udito il signor senatore Rossi Alessandro propone che in segno di cordoglio il Senato voglia prendere il lutto per 15 giorni, addobbando a lutto il banco della presidenza.
Pongo ai voti questa proposta; chi l'approva è pregato di alzarsi.
(Approvata all'unanimità).
I signori senatori riceveranno individualmente la partecipazione dei funerali; ma intanto credo bene avvertirli che avranno luogo domattina alle 10 ant[imeridiane], trasportandosi il cadavere dalla via Monserrato n. 25 fino alla stazione della ferrovia.
FERRARIS, ministro di grazia e giustizia. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il signor ministro guardasigilli.
FERRARIS, ministro di grazia e giustizia. Ricevo in questo momento l'incarico di annunziare al Senato che il Consiglio dei ministri, al solo scopo di onorare la memoria del compianto senatore Cadorna, ha deliberato che i funerali si facciano a spese dello Stato (Benissimo).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 3 dicembre 1891.