CADOLINI Giovanni
24 ottobre 1830 - 08 giugno 1917 Nominato il 04 marzo 1905 per la categoria 03 - I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio provenienza LombardiaCommemorazione
Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente
Onorevoli colleghi! [...]
La commemorazione di Giovanni Cadolini, spirato in Roma l'8 di questo mese, è storia del risorgimento nazionale. L'epopea garibaldina lo eterna fra i campioni del grande capitano. Nel 1848, a diciotto anni non compiuti, ch'era nato in Cremona nel 24 ottobre 1830, prende il fucile di Guardia nazionale cremonese; marcia di là nella colonna de' volontari del Tibaldi per il confine tirolese. Nel 1849 si arruola in Toscana e con il Medici parte per Roma dove entra nell'esercito della Repubblica romana. Al Vascello, ed al bastione presso il casino Barberini fa prodezze, e, ferito di baionetta ad un braccio, riceve in letto il brevetto di ufficiale. Nel decennio studia, cospira, rischiando il capo, emigra. Preso in Genova diploma, esercita ingegneria in Sardegna. Sorta l'era fortunata del 1859, eccolo sottotenente nei Cacciatori delle Alpi, di nuovo con il Medici, a quella campagna contro gli austriaci, nella quale è promosso tenente. Alla seconda spedizione di Sicilia nelle Guide a piedi parte con detto grado, e, viaggio facendo, è nominato dal Medici capitano. Sbarcato a Marsala, combatte ad Archi, a Milazzo, a Sant'Angelo, guadagna la croce dell'Ordine militare di Savoia. Da maggiore promosso tenente colonnello in Messina, passa lo stretto con le vittoriose schiere, e comanda il suo invitto reggimento al Volturno ed all'assedio di Capua. Nella campagna del 1866 comanda il corpo dei volontari garibaldini operante a Valcamonica; e conduce altro corpo più numeroso, con artiglieria, nel Trentino, arrestato dall'armistizio. Riceve premio l'ufficialato dell'Ordine di Savoia, ed il maggiore d'ogni premio la lode del suo Garibaldi.
Glorioso del suo grado nella riserva; ingegnere valente il Cadolini, esperto di finanze, fu uomo politico assennato, abile scrittore, storico del risorgimento. Deputato al Parlamento dalla VIII alla XII legislatura, e dalla XVI alla XIX; rappresentante la prima volta del collegio di Pescarolo, e successivamente di quelli di Ortona, Cremona 1°, Casalmaggiore, dalla Camera apprezzato, fuvvi segretario; fece parte per ventun anno della Giunta generale del bilancio, e ne fu due volte presidente. Ebbe l'onore di sedere al Governo, segretario generale utilissimo del ministro dei lavori pubblici Mordini nel 1869. Fu nominato senatore il 4 marzo 1905. In ambe le Camere fu operoso alle commissioni ed agli uffici. Tra le numerose sue relazioni se ne ricordano di tali, che sono vere monografie delle materie tecniche legislative. Nelle discussioni autorevole, i suoi discorsi traevano attenzione. Lo ascoltammo, l'ultima volta, nella seduta del 21 maggio 1915 sul conferimento al Governo dei poteri straordinari per la guerra. Egli eccitò l'applauso del Senato, dicendo, dopo riconosciuta la guerra inevitabile: Ma la guerra vuole la concordia.. La concordia, cioè l'unione delle forze, è il principio fondamentale dell'arte della guerra.. Teniamo alta la tricolore bandiera, adorato emblema del nostro risorgimento, che la casa di Savoia afferrò e Vittorio Emanuele II portò trionfante in Campidoglio.
Le condoglianze della Camera dei deputati mi ha significate il suo presidente con vivo rammarico dell'amarissima nostra perdita. Il generale Cadorna manda a Giovanni Cadolini in nome dell'esercito l'ultimo saluto, che io unisco a quello del Senato, leggendo il telegramma del supremo comandante: Prego V.E. di tenermi presente alle onoranze che il Senato tributerà alla memoria del senatore Cadolini. In nome dell'esercito, invio l'ultimo saluto al soldato della prima ora, al ferito del Vascello, il cui nobile cuore fu, fino all'ultimo palpito, coi combattenti che compiono i voti della sua generazione.(Approvazioni). [...]
SACCHI, ministro di grazia e giustizia e del culti,Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SACCHI, ministro di grazia e giustizia e dei culti.Consentite, onorevoli senatori, che io porti in quest'Aula, dove ancora aleggia lo spirito di Giovanni Cadolini, il modesto tributo della mia parola in omaggio di lui, non per aggiungere alcun che a quanto in forma elevata ed incisiva ebbe a dire l'illustre Presidente, ma per manifestare al Senato l'unanime compianto, che desta nella sua e mia terra natale la perdita di tanto cittadino.
In Giovanni Cadolini, onusto d'anni e di gloria, si è spento l'ultimo superstite di quei colonnelli, nei quali la patria, palpitante di materno orgoglio e di viva riconoscenza, vide e ammirò trasfusi lo slancio generoso e la virtù bellica del leggendario duce.
La figura di Giovanni Cadolini emerge fulgida nei fasti della grande epopea nazionale, per la parte che egli prese in molteplici memorande fasi di essa.
Dalla eroica difesa del Vascello, ove rimase ferito, alla spedizione di Milazzo e di Capua, donde ritornò col grado di tenente colonnello e con la croce dell'Ordine militare di Savoia, dall'incontro a Catania con Garibaldi nel fatale 1882 alla marcia nel Trentino, è tutta una serie di epiche gesta, che rimarrà scolpita a lettere d'oro nella storia del patrio risorgimento.
La sorte, pur concedendo a Giovanni Cadolini una felice longevità, non gli consentì la gioia di veder coronata l'opera degli avi con la redenzione delle terre oggi bagnate dal sangue dei degni nepoti, ma il miraggio del successo finale ha sorriso alla mente del venerando patriotta e ne ha consolato gli estremi momenti.
Allori non meno gloriosi di quelli conquistati sui campi di battaglia seppe il Cadolini raccogliere nell'agone legislativo, contribuendo efficacemente alla Camera elettiva, come in quella vitalizia, al progresso civile della nazione, estendendo per essa l'opera sua illuminata e fattiva con quello stesso zelo ed entusiasmo, col quale avevale dedicato il braccio in cimenti guerreschi.
Ingegnere valentissimo, esperto finanziere ed economista, scrittore colto ed arguto, seppe rendere illustre il suo nome, oltreché nella palestra parlamentare, anche in quella scientifica e professionale. Accoppiando alla soda cultura e alla genialità della mente una gran bontà di animo e di carattere, si cattivò la stima e lo affetto universale. Sicché le onoranze che a lui qui si tributano, troveranno un'eco simpatica in ogni ambiente e torneranno di sommo conforto e di gradimento così alla degna famiglia dell'estinto, come alla generosa città, che ebbe la fortuna di dargli i natali; a nome della quale, io rivolgo, con tutta l'effusione dell'animo, al concittadino insigne e intemerato, all'amico dilettissimo, l'estremo saluto. (Vivissimi applausi).
VERONESE. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VERONESE. Giovanni Cadolini è una di quelle figure, delle quali non si può in brevi parole dare tutti i tratti caratteristici e far risaltare i meriti principali di patriota, di cospiratore, di soldato, di uomo pubblico e privato e di ingegnere.
L'illustre nostro Presidente lo ha illuminato specialmente sotto i primi aspetti che maggiormente rifulgono in un'Assemblea politica; non meno importante fu anche l'attività dell'uomo quale lavoratore e ingegnere, veramente eccezionale.
Pochi parteciparono come lui alle cospirazioni e alle guerre per l'indipendenza. Da Monte Suello nel 1848, non ancora diciottenne, fu nel 1849 a Roma alla difesa del Vascello, e ferito all'assalto di villa Barberini fu promosso ufficiale.
Così si scrivevano nella storia del risorgimento le pagine immortali di Roma, di Milano e di Venezia, e già per tutta la penisola correva il fremito della riscossa, e dopo tanti atti di eroismo, tanti tormenti di esuli, di prigionieri e di decapitati la coscienza nazionale era andata rinvigorendosi e trovava nelle infelici e onorate battaglie del 1848 la scuola alle più fortunate che la guidarono al trionfo.
Ed anche in queste troviamo in prima linea il nostro eroe. Nel 1852, quale cospiratore, arrestato e sfuggito miracolosamente dalle mani degli sbirri; nel 1859, quale luogotenente e poi capitano nel 2° Cacciatori delle Alpi, ebbe la medaglia al valore militare; nel 1860 nel primo reggimento Medici e poi tenente colonnello alla battaglia del Volturno decorato della croce al valore militare di Savoia; nel 1866, dopo eletto deputato, quale comandante di un reggimento di volontari nella campagna del nostro Trentino; e infine nel 1867 in Roma per partecipare alla insurrezione.
Quale deputato dal 1861 al 1896, segretario generale nel Ministero dei lavori pubblici nel 1869-70 e quale senatore dal 1905, fu di un'attività straordinaria partecipando assiduamente ai lavori parlamentari e dando la preferenza agli argomenti che si collegavano al suo passato patriottico od erano più attinenti alla sua professione di ingegnere e di ingegnere idraulico.
E Roma, che lo aveva attratto fin dalla sua prima giovinezza, lo attrasse anche come uomo pubblico ed ingegnere. Ricorderò fra le sue molteplici relazioni quella sul disegno di legge per la sistemazione del Tevere presentato alla Camera nel dicembre 1875. L'inondazione del 1870 fu un gran disastro, ma apportò anche un grande beneficio, quello cioè di aver risvegliato la coscienza nazionale sulla necessità dell'opera di sistemazione del classico fiume a cui i precedenti Governi non avevano neppur pensato.
Nel 1871 venne nominata una commissione ministeriale, che in un solo anno compieva l'esame delle condizioni del Tevere e dei suoi principali influenti, delle cause dei disalveamenti e proponeva i provvedimenti immediati e le opere necessario. E finché si esaminavano i progetti, Giuseppe Garibaldi, con quell'ardore e quella vigoria con la quale aveva guidato le schiere liberatrici della patria, si faceva promotore della prima legge di massima per la sistemazione del Tevere, che stabiliva il limite massimo della spesa in 60 milioni.
E il nostro Cadolini da vecchio garibaldino seguiva le orme del grande duce e maestro, e riferendo sul disegno di legge, che stabiliva quali dovevano essere i primi lavori di sistemazione, fece uno studio profondo. Non si trattava di fare nuovi progetti, ma di scegliere fra i progetti già proposti, e il Cadolini quale relatore ebbe il merito di provocare un voto dal Consiglio superiore dei lavori pubblici in seguito al quale veniva scartata una delle proposte di lavori contenute nel disegno di legge stesso.
E ricorderò pure, a complemento della relazione precedente, quella estesa da lui a 82 anni qual presidente della Commissione di vigilanza sui lavori di sistemazione del Tevere, presentata alla Camera nel giugno 1912 dall'onorevele Sacchi, allora ministro dei lavori pubblici, nella quale egli compendiava la storia delle opere di sistemazione del Tevere, e indicava i provvedimenti ancora necessari per affrettarne il compimento e per preparare i disegni per la navigazione, alla quale paese e Governo, dopo la guerra, dovranno dare l'importanza che, per l'avvenire della nostra capitale, essi meritano. Non dirò di altre pubblicazioni e discussioni innumerevoli fatte anche in quest'Assemblea; ricorderò appena quelle sul bonificamento dell'Agro romano, sulle bonificazioni, sulle irrigazioni, sull'acquedotto pugliese, sulle derivazioni di acque pubbliche, sulle strade nazionali, sulle leggi della Sardegna e Basilicata, sui bilanci dei lavori pubblici e molte altre nelle quali egli portò sempre una nota originale e competente, anche se non sempre si poteva convenire con lui.
Ciò che produceva in noi meno vecchi la sua austera figura era un sentimento di profonda ammirazione per la coscienza, la illibatezza e la modestia della sua vita. Il regionalismo non lo turbò mai, egli vedeva sopra tutto e sopra tutti aleggiare la patria, una, grande e rispettata.
Egli ebbe la religione del dovere, non ambizioni, non ricchezze ma la più grande soddisfazione che possa avere un uomo, quella intima del dovere onestamente compiuto.
Da qualche anno egli non frequentava più assiduamente il Senato e noi non vedevamo più la nobile sua figura. Dall'8 giugno egli non è più, ma il suo spirito si libra intorno a noi lieto che ne custodiamo la sacra memoria, e che i giovani nostri eroi, degni figli dei padri gloriosi, compiano ora i destini dell'Italia risorta, alla quale egli diede tanta parte della sua gloriosa e fattiva esistenza. (Vive approvazioni).
FRIZZI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FRIZZI. Fino dai primi albori della resurrezione nazionale ed attraverso a tutta la epopea garibaldina, Giovanni Cadolini fu uno dei più eroici combattenti di quello eroico periodo di storia. E, per la patria soffrì il decenne esilio che occupò, presago delle future battaglie e delle future cure del Governo, in quegli studi militari e della ingegneria e della economia pubblica che continuò poi ininterrottamente e che volse tutti, con intenti pratici, alla utilità ed al decoro della patria, Ne fanno fede una serie di apprezzatissime pubblicazioni e di discorsi e di relazioni nei due rami del Parlamento e nel Consiglio provinciale della nativa sua Cremona, ed in questi consessi egli dispiegò l'opera sua infaticabile e feconda e la vasta dottrina a sostegno di tuttociò che fosse arra di progresso civile.
Nella lunga sua vita parlamentare egli fu costante e fervido propugnatore di quella politica sapiente che ci condusse a Roma e che, arrivativi, ci lasciò esclamare a buon diritto: hic optime manebimus. Bene avvisando che uno Stato è tanto più forte quanto meglio si regge sopra una solida ed ordinata finanza, sfidò con mirabile coraggio la impopolarità pur di assicurare, in mezzo ad enormi difficoltà, al bilancio dello Stato il pareggio e con esso, immancabile conseguenza, la prosperità economica al paese.
Nell'universale rimpianto per tanta perdita, credo di rendermi interprete dell'unanime sentimento della Provincia di Cremona che egli illustrò colla nobilissima sua vita inviando a nome di essa alla sua memoria uno speciale affettuoso riverente saluto. [...]
DELLA SOMAGLIA. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà,
DELLA SOMAGLIA. Onorevoli colleghi! Compio il mesto dovere di rivolgere l'ossequio della gratitudine e dell'ammirazione al venerando amico e collega Giovanni Cadolini che ebbi l'onore di avere a collaboratore nella presidenza della Croce rossa italiana.
Quando le energie della vita si erano in lui composte e rasserenate, dopo tanta mirabile bufera di eroismi, egli rivolse le cure dell'anima e dell'ingegno alle nobili aspirazioni del lavoro civile. E nelle molte manifestazioni della sua operosità, volle anche prestare l'alto consiglio alla Croce rossa - che molto amò - forse perché alla sua pensosa e memore vecchiaia essa ricordava le gesta e gli anni della giovinezza eroica, e forse assai gli era caro di tenere stretti ancora i vincoli ideali con l'esercito attraverso questa nostra associazione che dell'esercito è modesta e devota collaboratrice.
Per trent'anni nel Comitato centrale e nel Consiglio direttivo, mio padre prima, il compianto senatore Taverna poi, ed infine io stesso, trovammo in Giovanni Cadolini un fervido animo ed un illuminato intelletto, sollecito e fiero della Croce rossa, pronto sempre alla collaborazione più savia, altissimo di prestigio fra i suoi pari, per la moderazione temperata di esperienza, con la quale risolveva le difficoltà dei dibattiti, e definiva le conclusioni del lavoro comune.
Di tanto senno a noi dedicato, gli saremo sempre memori e grati; e memori e grati gli resteremo sempre, per aver egli consentito ad onorare del prestigio del suo grande ed illibato nome i nostri consessi.
Perciò con commossa reverenza, come presidente della Croce rossa ed interpretando il sentimento di tutti i colleghi ed amici dell'Associazione, porto oggi qui alla memoria di Giovanni Cadolini, l'omaggio del mio rimpianto e della mia devozione. (Approvazioni).
TITTONI TOMMASO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TITTONI TOMMASO. Egregi colleghi, quelli tra voi che, or fa qualche anno, hanno visitato a Milano l'esposizione dei quadri di Eleuterio Pagliano, ricordano una grande tela che raffigura i Cacciatori delle Alpi che passano il Ticino a Sesto Calende.
Le numerose figure del grande quadro sono, tutte dei ritratti; è l'alba, e la nuova aurora illumina al tempo stesso le nevi immortali del Monte Rosa e la testa leonina di Giuseppe Garibaldi che dall'alto vigila il passaggio del fiume. Il resto del quadro è nella penombra. Nei barconi si affollano ufficiali e soldati tra i quali si riconoscono subito Medici, Cosenz, Sirtori, i fratelli Cairoli, Bertani, De Cristoforis, Nullo, Camozzi, Bronzetti e tanti altri eroi dell'epopea garibaldina: tra costoro già tutti spenti da tempo, vi erano due soli gloriosi superstiti: Giovanni Cadolini ed Ettore Pedotti, ambedue valorosi, soldati delle guerre dell'indipendenza.
È un conforto per noi avere nel nostro consesso Ettore Pedotti e ci auguriamo che questo conforto ci sia conservato per lunghi anni: dobbiamo invece piangere la morte di Giovanni Cadolini.
Quando la morte fa un vuoto nelle nostre file ci sembra quasi che coi colleghi che scompaiono, scompaia una parte di noi stessi e questo sentimento noi lo proviamo più intenso, quando al nostro affetto è rapito qualcuno dei pochi gloriosi superstiti del nostro risorgimento. [...]
Egregi colleghi, uniamo in un solo pensiero mesto e riverente coloro che già combatterono per l'indipendenza d'Italia e coloro che combattono oggi per la sua grandezza. (Bravo).
Ben possiamo dire in questo momento solenne della nostra vita nazionale che in tutti i campi di battaglia, nei più antichi e nei più recenti, da Legnano all'Isonzo, le ossa dei caduti
fremono amor di [LACUNA]. (Bene; applausi).
TODARO. Domando di parlare.
PRESIDENTE, Ne ha facoltà.
TODARO. Conobbi il Cadolini fin dal 1860 alla battaglia di Milazzo ed ebbi agio sin d'allora di ammirare, fra le sue tante qualità oggi celebrate, una che è degna di rilievo e cioè la grande ponderazione che egli poneva nell'azione militare.
In prova di ciò ricordo un episodio accaduto tre giorni prima della battaglia di Milazzo.
I primi fatti d'arme avvennero lungo la strada provinciale che conduce a Messina, nel tratto fra Corriolo ed Archi, il giorno 17 luglio 1860. Ad Archi il Cadolini diede prova del suo grande valore come maggiore alla testa di un gruppo di garibaldini, sotto il comando del colonnello Simonetta. Il Cadolini, con molta prudenza, aveva sconsigliato di attaccare di giorno con soli 250 uomini una colonna nemica di 1500 soldati, con quattro pezzi di artiglieria e 60 cacciatori a cavallo. Egli aveva previsto che i nostri sarebbero stati sopraffatti, e invero, avendo eseguito l'ordine del Simonetta, avvenne che quindici dei più ardimentosi, quantunque dimostrassero tanto valore da suscitare l'ammirazione di Bosco il generale nemico, furono presi prigionieri; ciò che non sarebbe accaduto se fosse stato accettato il consiglio del Cadolini.
Il generale Medici, molto apprezzando codeste sue qualità, lo aveva nominato maggiore accanto al Simonetta, di cui egli poteva così moderare l'eccessivo entusiasmo.
Propongo di inviare le condoglianze del Senato alla famiglia Cadolini e alla città di Cremona e vorrei che, a suo tempo, il compianto Cadolini fosse ricordato in Senato con qualche segno tangibile di onore. (Approvazioni).
PEDOTTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PEDOTTI. Sebbene io dovrei tacermi, dopo che il senatore Tommaso Tittoni ha voluto associare, richiamando vecchi ricordi, il mio nome a quello di Giovanni Cadolini, altissimo onore per me, del quale lo ringrazio, mi consenta il Senato che, quale antico compagno militari, dell'estinto collega io aggiunga poche parole [LACUNA] lui ricordo, a sfogo dei sentimenti [LACUNA].
Fui commilitone del compianto Cadolini nelle campagne del 59 e del 60 nei corpi volontari. Quelle però non erano per Cadolini le prime armi. Voi l'avete testé inteso ricordare: Roma lo annoverava fra i suoi più valorosi difensori fino dal '49, quando egli giovinetto ancora si era trovato all'epica difesa del Vascello. Ora egli era soldato ed ufficiale non soltanto valorosissimo, ma intelligente e valente condottiero, come lo provò più tardi nella campagna del 66 quando, colonnello, alla testa del 4° reggimento volontari egli fece lunga, strenua difesa su quelle Alpi Camoniche, sulle quali oggi ancora i nostri soldati versano così generosamente per la gloria della patria il loro nobilissimo sangue.
Ma, oltre che valente soldato, il Cadolini fu anche forbito e accurato scrittore di cose e di memorie militari, nonché di altre scientifiche, delle quali il collega Veronese ha testé fatto bella menzione. E fu il Cadolini nei lunghi anni di esilio in Piemonte, che precedettero il 1859, tra le schiere dei patrioti che cospiravano e lavoravano per preparare i nuovi fortunati eventi della patria.
Laureato ingegnere e specialmente dedicatosi agli studi e lavori idraulici, fu in questa branca valentissimo e competentissimo professionista. Ma né di ciò, né della sua grande attività, né dell'opera lunga, assidua da lui poi prestata in Parlamento, per molti anni quale membro della Camera dei deputati e poi in quest'alta Assemblea, io debbo far ora ricordo, specie dopo quanto ne dissero il nostro illustre Presidente, e poi l'onorevole Sacchi, il di lui degno concittadino, con le sue scultorie inspirate parole, e ancora gli altri oratori che mi hanno preceduto.
Il suo cuore eletto e nobile, come la mente ed il carattere, lo trasse a molto e sempre interessarsi dei suoi compagni d'armi, dei veterani, in mezzo ai quali egli contava come uno dei più gloriosi, fra le altre cose tenendo fino all'ultimo giorno della sua vita la presidenza della Società dei reduci e casa Savoia.
Io l'ebbi caro, fedele amico, come qui dentro egli era amico di tutti, e meritava di esserlo. Mando alla di lui cara e lacrimata memoria il mio commosso estremo saluto. (Approvazioni).
MURATORI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà,
MURATORI. Onorevoli signori! Soffra il Senato che io aggiunga poche parole, tributo dell'animo mio alla memoria di Giovanni Cadolini.
Soldato volontario ai suoi ordini nel 1866, non posso dimenticare il capitano buono e generoso che già aveva contribuito alla liberazione dell'isola mia. Né ripeterò quanto è stato detto per lui. Solo mi permetto ricordare due episodi che si ricongiungono al momento storico attuale che l'Italia attraversa. Giovanni Cadolini nel 1866, appartenendo al partito d'azione, che voleva e pensava solo alla costituzione dell'unità dell'Italia, scoppiata la guerra contro l'Austria, votando la legge dei poteri eccezionali, staccavasi da taluni fra i suoi amici che allora, come oggi, erano legati a formole democratiche apparenti, dimenticando allora, come oggi, che la libertà è mezzo e non fine; dimenticando che è mezzo per la grandezza della patria, e quando essa è in pericolo, tutto è lecito per assicurare la vittoria e consolidare la libertà stessa.
Condottiero valoroso, nella Val Camonica come accennava testé il senatore Pedotti, molti ignorano che egli fu tra i pochi sostenitori di quel memorando e storico dispaccio che è rimasto celebre nella vita di Giuseppe Garibaldi, Obbedisco. Obbedisco:sacrificio, olocausto sull'altare della concordia nazionale; obbedisco;rassegnarsi a tornare indietro da quelle terre bagnate dal sangue italiano, ma non rinunzia né abbandono dei diritti italici, aspettando invece coll'arme al piede perché tra gente italica e austriaca non poteva esservi tregua sino al compimento dei nostri destini. Ed il 1866 si ricongiunge come un solo periodo al 1915 colla dichiarazione di ripresa della nostra santa guerra. Questo fu il concetto di Giuseppe Garibaldi voluto da Giovanni Cadolini.
Giovanni Cadolini, soldato valoroso, patriotta insigne, appartenne a quella generazione che sentì in ogni tempo e sempre la grandezza della patria, che volle, con animo invitto col sentimento più alto del dovere, con lealtà senza pari la rivendicazione completa dei nostri diritti nazionali, l'Italia grande e potente.
Gli ultimi giorni della sua vita furono forse amareggiati per non potere egli assistere al trionfo immancabile delle nostre armi, alla finale sconfitta dell'eterno nemico.
Scrisse una grande verità Victor Hugo: La morte non è il nulla, la morte non è la fine; è il cominciamento dell'immortalità. Non è concepibile che tutto scompaia colla vita materiale, e che l'anima che volle esser libera sempre nel pensiero e nelle idealità, rimanga schiava e inerte nella tomba.
No, la grande anima non muore, e Giovanni Cadolini sale ormai nelle stelle della patria, che brillano al disopra delle nostre teste. Egli invoca e protegge nell'al di là la vittoria dei nostri soldati, vuole e benedice il trionfo della grande Italia.
Alla sua memoria vada il saluto e l'omaggio, non solo del Senato, ma del paese intiero; egli ben meritò la riconoscenza della nostra Italia. (Applausi vivissimi).[...]
PRESIDENTE. Darò pronta esecuzione alle proposte fatte dai singoli oratori e nelle quali è certo consenziente il Senato.
Do ora facoltà di parlare all'onorevole ministro della pubblica istruzione.
RUFFINI, ministro della pubblica istruzione.Unisco in nome del Governo alla degna commemorazione, che è stata fatta degli illustri senatori scomparsi nel breve tratto di tempo che è intercorso dalle nostre ultime adunanze, una parola di sincero cordoglio, di profondo rimpianto e di vivissima ammirazione.
Sono fra questi scomparsi figure di molto diversa significazione, di molto diversa forza rappresentativa. Da una parte due figure già appartenenti alla storia del nostro riscatto: i senatori Cadolini e Faina. Due figure, le quali già in vita avevano oramai un loro posto incontrastabile nella nostra storia, e si ergevano di già con l'aureola dell'eroismo, nello sfondo più puro del nostro risorgimento nazionale. E questo per un miracolo di longevità che era non ultimo segno della loro eccezionale e rigogliosa personalità. [...]
PRESIDENTE. Darò pronta esecuzione alle proposte fatte dai singoli oratori e nelle quali è certo consenziente il Senato.
Do ora facoltà di parlare all'onorevole ministro della pubblica istruzione.
RUFFINI, ministro della pubblica istruzione.Unisco in nome del Governo alla degna commemorazione, che è stata fatta degli illustri senatori scomparsi nel breve tratto di tempo che è intercorso dalle nostre ultime adunanze, una parola di sincero cordoglio, di profondo rimpianto e di vivissima ammirazione. [...]
Ma con questo vorremmo dire noi, che è riserbato il sentimento del rimpianto per queste ancor giovani, ancor vigorose figure anzitempo scomparse, e non si debba tributare invece se non un pensiero di semplice ammirazione verso quelle grandi figure storiche? No, certamente. In questa prova immane, in cui il paese ha trasfuso tutte le sue energie, materiali, spirituali e morali, in questa prova suprema, da cui il paese nostro uscirà o più grande di prima o con destini limitati, tutto è stato tratto in mezzo, tutto è stato invocato; e il nostro passato è stato chiamato esso pure alla riscossa, per farne una forza morale: così gli insegnamenti dei nostri antichi scrittori e pensatori, come l'esempio dei nostri grandi uomini di Stato e di guerra. Per questo il permanere in mezzo a noi di figure quali quelle del Cadolini e del Faina rappresentava non soltanto un argomento d'orgoglio, ma anche di rinvigorimento e di incitamento all'imperterrita prosecuzione della nostra patriottica impresa.
Perché, se è cosa che conforta e che incuora il vedere i giovani dare tutto il loro entusiasmo a questa nostra grande gesta nazionale, certamente è spettacolo ancora più mirabile il vedere un eguale entusiasmo permanere nei vecchi, il vedere in chi l'impresa iniziò fin dal suo più remoto prologo, mantenersi intatta e sempre vivida, ad onta degli anni e degli eventi, la fede che aveva ispirato i giovanili ardimenti. Questo ci è garanzia della giustizia e della santità della nostra grande prova presente; poiché a quelle anime superiori questa prova appariva come il fatale e provvidenziale coronamento, l'epilogo necessario del nostro risorgimento nazionale.
E noi possiamo immaginare che queste anime nobilissime ricevettero, nello affacciarsi alla soglia dell'oltretomba, il più ambito premio della loro fede incrollabile nei destini della patria, vedendosi venire incontro tante e così nobili anime giovinette che, devote al loro esempio, fecero sacrifizio di sé alla patria, vedendosi venire incontro i vostri figli eroici, o colleghi Di Prampero, Niccolini, Torrigiani, con su le bocche ancora il grido dell'ora loro suprema, il santo grido: Italia! Italia! (Vivissime approvazioni).
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 20 giugno 1917.