senato.it | archivio storico

BOYL Gioacchino

04 settembre 1815 - 12 ottobre 1892 Nominato il 15 novembre 1871 per la categoria 14 - Gli ufficiali generali di terra e di mare. Tuttavia i maggiori generali e i contrammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività provenienza Sardegna

Commemorazione

 

Atti parlamentari – Commemorazione
Domenico Farini, Presidente

Signori senatori! Un mesto esordio precedere deve ogni nostro lavoro: la commemorazione dei colleghi che da noi si dipartirono, dacché il Senato si aggiornò.
Funerea, lunga, dolorosa lista!
[...]
Il cavaliere Gioacchino Boyl di Putifigari, morto a Torino il 12 di ottobre, era nato a Cagliari addì 4 settembre 1815 da famiglia di antichissimo lignaggio.
Per questo, per le dignità in ogni tempo nell'isola coperte, eminente, non fu tenuta in minor conto per i servizi resi alla patria ai giorni nostri dal compianto e dai due fratelli suoi, che, soldati valorosi raggiunti i supremi gradi nell'esercito, lo precedettero nel sepolcro.
Trentadue anni di servizio ed il grado di contrammiraglio, guadagnato a passo a passo nella Marina, da allievo della scuola nel 1831; le due prime campagne per l'indipendenza e quella in Oriente; reiterate missioni di fiducia ne costituiscono la invidiabile lista dei servizi, di contro ai quali stanno a più invidiata lode, per ogni grado, per ogni campagna, per ogni missione ambiti segni di onore.
Deputato alla Camera per il collegio di Oristano durante la ottava legislatura, in quel lasso esercitò, per circa nove mesi, le funzioni di segretario generale del Ministero della marina. Nel quale ufficio, nonché negli altri, non minori d'importanza e responsabilità, di comandante o della scuola, o d'un dipartimento, o della stazione nell'America meridionale, e quale uno del Consiglio d'ammiragliato mostrò la maggior dirittura d'animo e saldezza di carattere congiunte a gentilezza e bontà.
Abbandonata la Marina nel 1865, senatore dal novembre 1871, Gioacchino Boyl visse in Torino nella pubblica stima, in quella città come in quest'Assemblea operando sempre, sempre facendo voti per la patria cui aveva dato la miglior parte di sé. Lo spegnersi del collega ciascuno di noi accompagnò già con mesto pensiero ed oggi ricordiamo con grande rammarico, con sentimento di profondissimo dolore. (Bene). [...]
CERRUTI CESARE. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
CERRUTI CESARE. Dopo la commemorazione fatta dall'onorevole Presidente ogni altra parola sarebbe superflua, ed io dovrei cederla a persona più autorevole ed a voce più eloquente che la mia; ma, onorevoli colleghi, la marina mi taccerebbe di ingrato e sconoscente ove, come il più vecchio fra i marini, ormai per età relegati all'ospizio degli invalidi, e più ancora come collega ed amico del Boyl non avessi chiesto la parola in sì luttuosa ed inaspettata circostanza.
Il Boyl mi fu superiore, maestro, collega ed amico.
Comincerò col dire che un uomo, il quale ha percorso una carriera e compiuto una vita come il Boyl, non attende guiderdone negli onori, nelle parole, nelle corone, nei fiori, nei marmi in terra. Egli l'ottiene in cielo, dal cui sublime seggio già contempla, benedice e manda santi auguri al Corpo nel quale ha percorso onorata carriera ed al paese che ha tanto amato.
Dianzi cercai riafferrare al pensiero un qualche passo della vita del Boyl, e qua ne segnai le date per essere corretto nell'esporli.
Ricordo il Boyl giovane molti anni addietro, nel 1833, mesto, addolorato, di ritorno da una spedizione marittima sulle coste africane andata fallita.
Perché? Perché gelosie, e più ancora puerili interessi avevano preso il passo a quei sacri sentimenti di lealtà e dignità nazionale, che il capo di uno degli Stati in cui era divisa l'Italia aveva promesso, e solennemente convenuto col sovrano di Sardegna. Questo dolore era tanto più sentito in quanto che in quella spedizione si ebbe il dolore di perdere uno dei più cari giovanetti di grandi speranze e che sarebbe in oggi uno dei primi ammiragli, come il fratello è appunto uno dei più distinti generali del nostro esercito, circondato dall'affezione del paese e dall'amore del Re.
Nel 1836 si armava dai nostri arsenali di Genova una squadra per tutelare legittimi diritti e nazionali ragioni verso uno degli stati all'occidente del continente europeo, e Boyl era lieto di partecipare a questa spedizione.
Eravamo assieme sulla fregata il Beroldo, ed egli ancora giovane mi affidava onesti pensieri, nazionali affetti, patriottici entusiasmi dell'animo, confidenziali e lusinghiere speranze dei destini avvenire dell'Italia; e dell'Italia, ricorderanno i miei coevi, allora bisognava parlarne molto sottovoce.
Nel 1839 Boyl era lieto ed animoso in quanto che si armava in Genova un'altra squadra per operare unitamente ad una delle quattro potenti flotte che vegliavano sulla questione turco-egiziana, la quale, come ben sapete, ebbe fine con la battaglia di Nizib, e poi con lo sbarco anglo-austriaco sulle coste dell'Asia minore e precisamente a San Giovanni di Acri, ove appunto un ufficiale italiano, di Brescia, fa il primo che piantò la bandiera della vittoria su quel forte, tanto alacremente difeso da truppe egiziane, comandate da ufficiali europei; ed io ciò ben ricordo perché ero a quel fatto presente.
Nel 1844 Boyl navigava sopra un piccolo brigantino, quando sulle coste orientali della Sardegna, colto da furiosa tempesta, veniva il bastimento colpito da tre fulmini che cagionavano la morte di due marinai e di una donna di passaggio con un bimbo in collo. Boyl, commosso sì, ma punto turbato, ordinava immediatamente tutto l'equipaggio in coperta al posto di manovra e poi faceva ogni possa per fare animo ai soldati di passaggio commossi per sì grave spettacolo sul mare a loro tutt'affatto nuovo, poco conosciuto e direi anche poco gradito.
Boyl fece le campagne del 1848 e del 1849. Dal 1854 egli teneva cara una spada d'onore, e ne aveva ben dritto, avuta dal Governo britannico per aver salvato l'equipaggio di un barco inglese con bella manovra e con grave pericolo della sua vita.
Nel 1856 lo si vide capo dello Stato maggiore della squadra sarda del Mar Nero, e vi ebbe ben da che fare.
Fece la campagna del 59 e del 60.
Nel 1861 lo si vide capo di Stato maggiore nel 2° dipartimento in Napoli per coordinare la riunione delle quattro marine: Napoli, Sicilia, Toscana e Sarda.
Poi Io si vide segretario generale al Ministero di marina. Comandante in capo il 1° dipartimento marittimo, dimostrò in ogni evenienza di servizio zelo, intelligenza, pari a fermezza di carattere.
Boyl era generoso ed in pari tempo forte di animo come tutti i grandi dell'isola onde ebbe i natali. Ma la sorte ebbe presto invidia delle virtù di questo distinto uffiziale.
Malattia Io colse, e presto rendendo le sue forze impari alla propria volontà, lo obbligò a chiedere il ritiro nel 1865.
Codesto nostro collega, del quale oramai non ci rimane che il sovvenire, ha bene adempiuto la sua esistenza. Egli porta con sé il rammarico, il dispiacere, il vero dolore di quanti Io hanno avvicinato e conosciuto.
L'ammiraglio marchese Boyl, senatore del Regno, non lascia figli, ma trasmette grande eredità di benemerenza nazionale a' nipoti che, già ne hanno a dovizia.
Il Senato, ben vedo, è commosso per la perdita del collega, ed io avanzo una proposta, e prego sia da voi tutti accettata, quella cioè che i sensi del nostro rammarico siano espressi, rassegnati a S.E. la contessa Rignon, marchesa di Villamarina, sublime, fedele, costante compagna di quell'augusto angelo di carità e bellezza che la nazione intera adora e fa suo culto. (Bene, benissimo!). [...]
PELLOUX, ministro della guerra. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
PELLOUX, ministro della guerra. Per la solennità della commemorazione degli illustri uomini, di cui si rimpiange la perdita, sarebbe certamente meglio che io lasciassi il Senato sotto l'impressione delle parole così splendide, così nobili e commoventi pronunciate dall'illustre Presidente.
Debbo però anzitutto, in assenza dell'onorevole ministro della marina, che una dolorosa ragione tiene pur troppo lontano da quest'Aula, associarmi in modo particolare alle commemorazioni fatte dei senatori, marchese Giovanni Ricci ed ammiraglio Boyl di Putifigari. [...]
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Scano.
SCANO. Egregi signori. Dopo le eloquenti e sentite parole dell'egregio nostro Presidente; dopo ciò che fu detto dai signori senatori che mi hanno preceduto, e dopo le parole accentuate del ministro di grazia e giustizia e di quello della guerra, forse le mie parole si potrebbero dire non opportune, non acconcie o superflue.
Ma, o signori, io ho questa tempera; non so resistere a me stesso allorquando sento a celebrarsi le grandi figure italiane, e a ricordare sulla loro tomba quello che essi hanno operato colla penna, col senno, colla mano e colla mente eletta a rendere sempre più ricco e grande il patrimonio delle glorie della patria. E mi commossi altamente e mi commuovo nell'anima e nel cuore in questo momento che ho la parola, nell'avere inteso che tra gli illustri che decorarono la patria italiana evvi e vi fu un figlio della mia carissima terra natale, il generale di Boyl di Putifigari.
Signori, il Boyl come buon patriota lo vidi, adolescente appena io, lui più avanti negli anni, lo vidi coi fuoco negli occhi, coll'ardenza nell'animo, col cuore di soldato fieramente auspicando i tempi futuri nei quali la bandiera italiana avesse dovuto trionfare dall'Alpi al Lilibeo e l'Italia redenta dall'antico servaggio, fatta nazione una, indipendente e libera, della quale la infelice patria mia è bella, valorosa e nobile parte a cui mi legano santi inestinguibili affetti. Egli è per questo che il Senato mi perdonerà se non acconciamente, ma per quel che mi vale il cervello e il cuore, io plaudo agli elogi resi al mio compatriota marchese di Boy dall'illustre Presidente con forma ammirabile con sentimento altissimo col quale egli onora il seggio presidenziale, al quale le sue virtù e l'incontaminato suo civismo lo assunsero.
O signori, è doloroso il pensare che degli illustri nostri Sardi, egli forse non sia stato l'ultimo che abbia chiuso quella miriade di nomini dotti nelle scienze, fieri, valorosi nelle armi, patrioti senza rimprovero, altamente religiosi al vero, al buono, al giusto, pronti a ogni prova, ad ogni costo di abnegazioni fino al sacrificio delle sostanze e del sangue: la storia è là a solennemente affermarlo.
Signori, ho preso la parola per dirvi questo che l'anima scossa mi veniva dettando; e mi fermo al concetto generoso del venerando ed illustre senatore Sprovieri. In quelle figure, o signori, splendono aureole indistruttibili che non si spegneranno mai; in quelle pagine sta scritto a caratteri indelebili che la memoria e i fasti gloriosi dei grandi italiani vivono eterni; e su quelle memorie, su quelle tombe di uomini per ogni virtù eccelsi e venerandi vagola esultante quel grande, quell'immortale spirito che inspirò, che fortificò col suo magnanimo esempio quegli eroi nei grandi combattimenti della vita, sacra alla libertà della patria. Morendo egli li raccolse, li personificò nell'immensa anima sua. E oggi per ciò tra tante e fulgidissime aureole di glorie immarcescibili che lo incoronano risplende fulgidissima l'immensa figura dell'uomo del Pantheon, davanti al quale giovane io nel 49, apersi le prime aspirazioni della mia vita pubblica nel Parlamento subalpino, giurando a lui fede incrollabile all'eroica sua stirpe quella religione che ogni italiano deve rendere alla maestà della monarchia italiana, affinché l'Italia rediviva e libera torni ad essere come era, maestra di sapienza e di civiltà al mondo.
Ritorno, signori, al concetto dell'onorevole Sprovieri; vorrei che le grandi pagine del nostro risorgimento, del nostro riscatto, pagine che costarono sangue, costarono sacrifizi immensi, eroici, costarono talora il carcere e fatali pericoli, l'esilio e anche il patibolo, vorrei che su queste pagine leggesse la gioventù crescente affinché, ritrattasi da certe vie infide, da certi modi stravolti, da certi sentieri dove l'anima e il sentire non di rado si pervertono, andasse diretta, ardente, magnanima, ad imitare i grandi che le porsero esempi luminosi di virtù private e pubbliche, e ad accrescere sempre più l'orgoglio dell'esercito, la grandezza della nazione, la gloria della monarchia italica. E noi posti all'altro versante della curva della vita, potremmo dire confortati e di noi stessi orgogliosi e fieri: i nostri figli ci hanno assomigliati e rappresentano la preziosa eredità dei loro padri con ogni virtù civile e militare: essi sono degni figli d'Italia. (Bene).
SAREDO. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
SAREDO. Mentre mi associo di gran cuore alla proposta fatta dall'egregio collega il senatore Cerruti, io la completerei. Ho l'onore cioè di proporre che l'espressione di rammarico che il Senato incaricherebbe la Presidenza di esprimere alla famiglia del compianto ammiraglio Boyl di Puiifigari sia estesa alle famiglie degli altri colleghi dei quali oggi è stata fatta con tanta eloquenza la commemorazione.

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 24 novembre 1892.