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BORGNINI Giuseppe

01 novembre 1824 - 15 agosto 1911 Nominato il 26 gennaio 1889 per la categoria 13 - Gli avvocati generali o fiscali generali presso i magistrati di appello dopo cinque anni di funzioni provenienza Piemonte

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente

Onorevoli colleghi! Non dimentichiamo quelli de' nostri, che abbiamo perduti durante l'intervallo, in cui siamo stati separati. [...]
Poco dopo il Rattazzi scese nella tomba Giuseppe Borgnini; della cui presenza ci aveva privati la paralisi, che lo colse in Roma nel giugno 1910, e lo ha estinto nella sua villa di Tigliole d'Asti il 15 dell'agosto 1911. In Asti era nato il 1° novembre 1824. Studiata giurisprudenza, praticò nell'Ufficio dell'avvocatura de' poveri allora vigente nello Stato sardo; e fatto il volontariato nell'Ufficio dell'Avvocatura generale presso la Corte di appello di Torino, iniziò la magistratura nel 1849 vicegiudice in Asti; proseguì giudice aggiunto al Tribunale; e passato sostituto dell'avvocato fiscale nel 1858, continuò nel pubblico ministero della magistratura italiana fino al grado più eminente. Fu in lui mente e cuore; sapere e modestia; dignità e riserbatezza; forte ed illibato carattere. Se sono queste le doti proprie del sacerdozio della giustizia, sì da richiedersi in ognuno che lo eserciti; voglionsi nondimeno commendare in chi le abbia possedute per eccellenza; e di talune particolarmente, quali la dignità, la riservatezza e la modestia, giova elevare l'esempio, quando qualche novità contrasti al buon costume antico. Giuseppe Borgnini, vestita la toga sotto le libere istituzioni, la portò, sentendo dell'ordine giudiziario secondo il progresso: ma fu cultore delle virtù, onde vanno celebrati quegli antichi magistrati, de' quali la memoria è veneranda. Parlando l'ultima volta alla Corte suprema di Torino nell'inaugurazione dell'anno 1907, ricordò le tradizioni, che la magistratura deve osservare per mantenersi forte e rispettata; consigliando i giovani magistrati di tornare un po' all'antico.
Procuratore del Re in Firenze nel 1869, al ministro della giustizia, che in un clamoroso processo penale gli faceva rimprovero d'aver chiesto ordinanza di proscioglimento, senza prima tenerne parola, manifestare il suo voto e ricevere istruzioni, rispose, che nel corso di quell'istruzione aveva sempre in modo franco esposto il suo pensiero, non taciute le sue impressioni, aderito a tutti gli atti capaci di far rintracciare il vero; ma che il ministro non poteva né doveva pretendere, che si fosse subordinato all'iniziativa sua, e che avesse abdicato a quella libertà assoluta, che si appartiene al procuratore del Re, come rappresentante della legge nella sua applicazione. Ed al suggerimento del ministro di allontanarsi dalla sua residenza a pretesto delle vacanze, aspettando quella destinazione, che al Governo sarebbe piaciuto di dargli, oppose sdegnosamente il rifiuto e rassegnò le sue dimissioni. Signor ministro -disse - se in me fu ferita la più preziosa prerogativa del magistrato, io provo almeno il conforto di lasciare a chi succederà a me un posto non compromesso da basse adulazioni o da indebite compiacenze. Con pari franchezza ed indipendenza rigettò le lodi d'una parte della stampa, come non confacenti ai suoi principii e non valevoli a legarlo a uomini, dai quali dividevalo una diversa fede politica.
Accettate le sue dimissioni il 10 ottobre 1869, visse privato dignitosamente in nobile silenzio; finché volle di suo proprio moto, nel 1876, il guardasigilli Mancini ridonarlo alla magistratura, richiamandolo al posto di procuratore del Re in Torino con grado e titolo di sostituto procuratore generale, per elevarlo in breve all'alto grado di procuratore generale, come avvenne per il decreto del 14 novembre 1877, che lo destinò alla Corte d'appello di Trani. Da Trani trasferito a Napoli il 13 marzo 1879, vi rimase lungamente, stimato, amato, venerato dalla curia e dai cittadini; fra i quali lasciò ricordo, non solo di magistrato eletto, ma d'uomo benefico e caritatevole, che, sobrio e parco del vivere, elargiva e soccorreva. Infierendo in Napoli la colerica epidemia nel 1884, fermo al suo posto, diede esempio di civile coraggio e di umana pietà, meritando la medaglia dei benemeriti della salute pubblica. Nel 1890, benché a 67 anni, non si negò allo straordinario servizio richiestogli dallo Stato di andare in Africa presidente della Commissione d'inchiesta sull'Eritrea. Ripigliato il suo ufficio di magistrato, promosso il 9 ottobre 1896 procuratore generale di cassazione, cessò allo spirare del 1907 per la nuova legge, che estese il limite dell'età al pubblico ministero. Depose allora la toga per non rivestirla più: ma rimase la sua figura fra quelle degli esimii passati nei superiori seggi dell'ordine giudiziario, da perpetuarsi per segnare ai nuovi le orme onorate.
Ritirato dall'ufficio giudiziario ancora nel suo vigore, tutto si raccolse al dovere verso il Senato, a cui ebbe nomina il 26 gennaio 1889; vi fu assiduo, vi diede il sapere e l'autorità. Ricordiamo la sua parola di grande peso; i discorsi particolarmente sull'ordinamento della magistratura; sugli alienati e sui manicomii; sui matrimoni illegali; sulla competenza delle sezioni unite della cassazione di Roma; sulle convenzioni di diritto privato dell'Aja; sul riconoscimento delle sentenze straniere in materia di divorzio. Giovò il suo consiglio all'Alta Corte di giustizia; nella Commissione per la riforma del Senato pose il massimo zelo agli studi: ed, impedito dalla malattia, quando questi furono riferiti al Senato, patì somma amarezza di non essere alla pubblica seduta.
L'onorando uomo passò di quaggiù da forte, come visse. "Lasciatemi morire tranquillo", ripeteva ai famigliari, che si avvicinavano al suo letto, "andate via, ho bisogno di esser solo, non voglio nessuno per andare all'eternità; non voglio essere accompagnato dalla popolazione, non voglio né fiori né discorsi; all'eternità vado da solo". No, amato collega ed amico, non fosti solo alla partenza; ti fummo sempre vicini con il cuore; ti accompagnò, con il pianto dei molti, il nostro; l'anima tua fu seguita da quell'affetto, che ancora in questo momento ci porta a dirti addio. (Vive approvazioni). [...]
FRASCARA. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
FRASCARA. [...]
Permettetemi, onorevoli senatori, di aggiungere poche parole in omaggio alla memoria di altri due colleghi che appartenevano alla Provincia di Alessandria: Giuseppe Borgnini e Pietro Cotti.
Giuseppe Borgnini, magistrato integerrimo, fu, in tutta la sua vita, come disse con parola scultorea e commossa l'illustre nostro Presidente, specchio di civili virtù, di colta intelligenza, di animo benefico, di fiero carattere. [...]
Vada alle famiglie Borgnini e Cotti il rimpianto del Senato. (Approvazioni).
PLACIDO. Onorevoli colleghi: due nomi, due astri, due altissimi sacerdoti della giustizia, due eletti benefattori dell'umanità, scomparvero quasi ad un tempo dalla scena del mondo: Giuseppe Borgnini e Giuseppe De Marinis.
Queste venerande figure, ricordate con commossa ed eloquente parola dal nostro illustre Presidente, lasciarono un'orma incancellabile del loro passato nei sentieri luminosi della vita che percorsero.
Il Borgnini, nato a piè delle Alpi, il De Marinis in un paese montano del Mezzogiorno, dimostrarono a chiare note come il carattere, la rettitudine, la salvezza possano sorgere, alimentarsi, giganteggiare in qualunque angolo più remoto d'Italia.
Ambedue diversi per origine, per temperamento, per abitudini, per natura di studi, per forma di pensiero e di azione, ambedue ebbero però uguale condotta, uguale criterio nell'amministrazione della giustizia e nell'intervento pietoso a favore dell'umanità sofferente.
Oh, quante volte il compianto Borgnini con mano benefica soccorreva le vedove, le orfane dei magistrati estinti, alle quali restava solo il ricordo di un passato, e il futuro si presentava pauroso! Oh, quante volte, e prima e dopo il periodo dell'invasione colerica, ricordato con tanta opportunità dall'illustre Presidente, compariva il Borgnini, angelo consolatore, nelle famiglie dei derelitti e, non richiesto, non pregato, non domandato, diffondeva ovunque la sua opera soccorritrice.
Napoli l'ebbe per dieciotto anni procuratore generale di appello; ne conobbe appieno le virtù, ne apprezzò gli altissimi meriti, in tante forme rivelati. Qual meraviglia che rimanesse addolorata e commossa alla sua partenza? Non potendo in altro modo manifestare i suoi sentimenti, in folla compatta ed assiepata Napoli accorse alla stazione, quasi per ritardare gli ultimi istanti di un doloroso distacco!
[...]
Alla memoria di così illustri trapassati mandi il Senato l'ultimo dolorosissimo vale, come lo hanno già inviato con memore e sentito affetto le popolazioni partenopee; fiore unico e mesto di gratitudine e di riconoscenza. (Approvazioni). [...]
QUARTA. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
QUARTA. Propongo che sia mandato dal Senato un telegramma di condoglianza anche alle famiglie ed alle città natali dei senatori Borgnini e De Marinis. [...]
FINOCCHIARO-APRILE, ministro di grazia e giustizia e dei culti. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FINOCCHIARO-APRILE, ministro di grazia e giustizia e dei culti. A nome del Governo e della msgistratura italiana io mi associo alle eloquenti parole di vivo rimpianto che sono state pronunziate dall'illustre Presidente del Senato, dall'onorevole Quarta e da altri, pei senatori defunti che alla magistratura appartennero.
I nomi di Giuseppe Borgnini e di Giuseppe de Marinis saranno sempre ricordati dalla magistratura alla quale diedero nobile esempio di fermezza e indipendenza di carattere, di operosità e di devozione nell'adempimento dei loro doveri.
Giuseppe Borgnini consacrò tutta la sua vita alla causa della giustizia. Ad 84 anni, vegeto ancora, pronunziò a Torino l'ultimo suo discorso di inaugurazione dell'anno giuridico e fece ancora una volta ammirare la vigoria della sua mente, la profondità dei suoi studi. A Napoli, dove per lunghi anni fu a capo della procura generale della Corte di appello, seppe meritare la stima di tutti, rendendosi benemerito, anche in momenti dolorosi, di quella grande città. L'opera sua di magistrato, e la pubblica stima che circondò nella metropoli del Mezzogiorno l'insigne magistrato piemontese, contribuirono ad affermare ancor più quella intima fusione di sentimenti, sulla quale vive e riposa l'unità della patria. Porgo alla memoria di lui il saluto reverente del Governo e della magistratura, che lo terrà ad esempio da imitare. (Approvazioni).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 23 febbraio 1912.