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BONI Giacomo

25 aprile 1859 - 10 luglio 1925 Nominato il 01 marzo 1923 per la categoria 20 - Coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrata la Patria provenienza Veneto

Commemorazione

 

Tommaso Tittoni, Presidente
"PRESIDENTE (Si alza e con lui si alzano senatori e ministri).

Onorevoli colleghi,

Prima di iniziare i nostri lavori rammentiamo i cari colleghi scomparsi durante le vacanze parlamentari.
Un grande archeologo ed un italiano che onorava altamente la Patria abbiamo perduto in Roma il 10 luglio. Sul Palatino, onde tanta luce diffuse sul nostro passato, Giacomo Boni, cui da tempo un grave male minava la salute, si è spento. Ed è lutto che supera i confini dell'Italia poiché all'estero, come all'interno, egli era altamente apprezzato ed ammirato.
Venezia gli dette i natali il 25 aprile 1859 ed ivi egli crebbe educandosi al culto dell'arte. Compì i suoi studi nei corsi superiori dell'Accademia di Belle Arti e si laureò architetto perfezionandosi poi all'estero e particolarmente in Inghilterra ove conobbe il Ruskin, il famoso critico inglese, che con la sua profonda intuizione di poeta e con la sua saggezza profetica tanto fascino esercitò su di lui avendolo prima discepolo e poi amico affezionatissimo.
Tornato a Venezia il Boni fu addetto quale aiuto ai grandi lavori di restauro del Palazzo Ducale e già da allora, giovanissimo, compì opera preziosa restituendo al loro genuino splendore monumenti insigni della gloriosa repubblica. Nominato nel 1888 Ispettore nel ruolo delle Antichità e Belle Arti era destinato a Roma e qui, mentre veniva affermandosi con le sue ricerche archeologiche che ci rilevavano preziose vestigia della romana grandezza, conseguiva nel 1891 la nomina ad ingegnere architetto nello stesso ruolo e nel 1903 saliva al grado di direttore che attualmente ricopriva, incaricato degli scavi del Foro Romano e del Palatino.
Non mi è qui possibile illustrare ampiamente l'opera geniale e con religioso fervore compiuta dal Boni. Nel Foro Romano e sul Palatino, sfatando l'opinione dominante che tutto fosse ormai scoperto e vincendo le ostilità che da più parti gli si facevano, i più preziosi monumenti dell'antica civiltà latina egli ha riportati alla luce: dal Cereris Mundus, centro augurale dell'Urbe, alla Necropoli antichissima nella valle forense, dai Sacraria regia ai Rostri repubblicani, dalla Basilica Emilia e dal Fonte di Giuturna alla Basilica di Santa Maria Antiqua coi preziosi dipinti bizantini, è tutta una serie di scoperte attraverso le quali il Boni ha costruito il quadro più eloquente e reale della vita di Roma antica ed eterna. Ma oltreché nel Foro Romano e sul Palatino egli dedicò la sua meravigliosa attività ad innumerevoli monumenti: dagli affreschi della Sistina alla Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma, dai preziosi monumenti medioevali della Dalmazia e dell'Istria alle più notevoli fortificazioni normanne e sveve nell'Italia meridionale.
E mentre fa opera di ricerca si dedica con instancabile passione a raccoglierne i risultati nel museo di fotografie delle antichità romane, nel Museo degli scavi e traccia la preziosa pianta altimetrica del Foro Romano e rivolge le sue cure alla flora dei monumenti. E scrive senza posa, illustrando in pregevolissime pubblicazioni i risultati dei suoi scavi e delle coltivazioni intraprese al Palatino e si fa altresì ammirare per studi non solo di arte ma pur di numismatica, pubblicando inoltre eleganti saggi di traduzione di classici.
È il Boni una figura magnifica di scienziato e di artista. La sua è opera dotta e geniale quale potevano ispirargli il suo ingegno e la sua cultura eccezionale sia tecnica, sia classica, opera condotta con rigore scrupoloso di metodo scientifico, ma che è anche opera d'arte e di alta e squisita poesia. Egli voleva che tutti i valori della vita passata chiusi nelle tombe, scolpiti nei marmi, fossero messi in evidenza perché da essi si traesse ispirazione a nuove forme di bellezza nelle costruzioni future; e affinché meglio siffatti valori facessero luce alle genti, egli voleva farli rivivere appieno. E le preziose vestigia dell'antica civiltà egli lasciava nel luogo ove venivano scoperte perché era convinto che ciò che era stato costruito per un dato ambiente dovesse non poco perdere nell'essere confinato in frammentaria riunione in un Museo, che egli avrebbe voluto limitare alla raccolta soltanto di opere disperse.
Le scoperte di Giacomo Boni procurarono all'autore la più larga fama, e si può dire che non vi sia stata personalità per quanto insigne venuta a Roma che non abbia amato recarsi ad ammirare i risultati dei suoi scavi. Da ogni parte egli ebbe onoranze: laureato honoris causadi Oxford e a Cambridge, membro della Royal Academy di Londra e degli Istituti di Archeologia di Berlino e di Vienna, fu chiamato pure a tenere un corso di lezioni all'Università e alla Royal Society di Londra, alla British Institution, e all'Istituto Superiore di Vienna, incarichi che accettò purché il compenso fosse devoluto all'acquisto di libri per la Biblioteca di consultazione da Lui fondata nell'AntiquariumForense. Era membro di importantissimi Istituti scientifici e d'arte del Regno e nel 1912 fu nominato a far parte del Consiglio Superiore di Antichità e Belle Arti.
Durante la guerra prestò opera altamente patriottica e all'interno e alla fronte, non arrestandosi dinanzi ad alcun disagio; e, come delle opere di assistenza civile fu fervido organizzatore, così alla fronte apprestava utilissimi servizi di conforto per i combattenti, onde la città di Milano volle poi premiarlo conferendogli una medaglia d'oro. Pur nei momenti di maggior pericolo ebbe sempre la più grande fede nei destini dell'Italia e, quando nel 1917, in un periodo di incertezze, le Potenze centrali si mostrarono disposte a chiedere l'armistizio, egli non esitò a scrivere all'Ambasciatore degli Stati Uniti d'America, Nelson Page, suo illustre amico: "Noi veneti diciamo al Presidente Wilson che si potrebbe trattare quando tutti i nemici, spogli di qualsiasi materiale bellico, ceduti i prigionieri e la refurtiva e le riserve delle Banche Austro-Germaniche in conto riparazioni, abbiano passato il Reno e valicate le Alpi".
La sua fibra forte, ma squisitamente sensibile, non resistette però a tanta tensione ed ebbe allora la prima forte scossa. Quando, riavutosi, potè rimettersi al lavoro, egli tornò alle sue ricerche al Foro e sul Palatino con nuovi ritrovamenti, mentre non istava dal denunciare le sottrazioni di tante opere d'arte compiute dal nemico e preparava, per incarico del Governo, i primi rapporti sulle restituzioni dovuteci.
Anche i problemi del dopo guerra l'ebbero operoso apostolo: così nell'occuparsi di quelli dell'agricoltura di cui intuiva tutta l'importanza per l'economia italiana, così nella lotta contro l'abuso delle bevande alcooliche e nella difesa del nostro patrimonio forestale egli ebbe sempre il bene del Paese in cima ai suoi pensieri.
Giacomo Boni tenne con onore importanti cariche pubbliche: fu tra l'altro consigliere comunale di Roma e il 1° marzo 1923 fu meritatamente nominato senatore per la categoria 20a fra le persone che hanno illustrato la Patria. Noi lo vedemmo sempre alle nostre sedute, attivo, strenuo difensore dell'arte cui aveva consacrato la vita; ma la sua salute fisica, pur dominata fino all'ultimo dal suo spirito ardente, era già troppo scossa perché potesse a lungo resistere.
Ed oggi noi piangiamo la scomparsa di questo magnifico italiano, che era anche nobile esempio di modestia e di fine sensibilità ad ogni appello degli umili, che attraverso il culto profondo delle nostre glorie antiche contribuì alla preparazione dei nuovi destini del Paese.
Inchiniamoci reverenti dinanzi alla salma di Giacomo Boni che per volere di popolo e di Governo degnamente riposa sul Palatino che egli tanto amò ed esprimiamo alla famiglia straziata ed alla città di Venezia il dolore che profondamente sentiamo. (Benissimo).
FEDELE, ministro della pubblica istruzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FEDELE, ministro della pubblica istruzione. Mi associo in nome del Governo alle commemorazioni dei senatori [...]. Mi consenta di dire una particolare parola per la perdita dei senatori [...] e Boni.
Quando Giacomo Boni si spense sul colle augusto, nella quieta e luminosa dimora Farnesiana, in quel giardino incantato che egli con la sua anima di poeta aveva creato fra i ruderi insigni, universale fu il compianto in Italia ed oltre i confini della Patria. Poichè pochi italiani ebbero così larga e meritata fama come Giacomo Boni, malgrado la sua semplice e schietta modestia. Egli non era soltano l'archeologo che con rigore di metodo sorretto da una intelligenza vivacissima, da una cultura storica e letteraria non comune, dall'irrequieta ed insaziata avidità di sapere, studiasse i monumenti che egli stesso traeva alla luce; ma, poeta ed artista insieme, portava nella ricera un fervore, un intuito singolare e, come ben disse un illustre membro di questa Assemblea, Corrado Ricci, una fervida animazione poetica.
Quando Guido Baccelli nel 1898 lo incaricò di riprendere gli scavi del Foro Romano, iniziati già da Pietro Rosa e sapientemente proseguiti da Rodolfo Lanciani, molti si domandavano se il giovane architetto venuto da Venezia a Roma, con in tasca un volume di John Ruskin sarebbe stato l'uomo più adatto a dirigere gli scavi in quel breve spazio di terreno dove venti secoli hanno lasciato le tracce di una storia immortale. Ed alcuni ne furono turbati. Ma le scoperte insigni si seguirono l'una all'altra rapidamente. Il Boni salì in grande fama. Le scoperte non erano per lui oggetto di fredda indagine scientifica; egli le ravvivava, le animava con una passione quasi mistica. Egli, per adoprare una sua espressione, leggeva le pagine di storia, degne d'immortalità, celate nelle stratificazioni dei secoli. In lui l'antica vita di Roma dalle origini remote fino a tutto il Medioevo riviveva così che di ogni età risentiva e faceva sentire a noi l'accento e la voce, nelle vicende politche, nell'arte, nelle credenze religiose, negli usi, in tutte le imprese, in tutte le memorie del popolo romano.
La sua anima molteplice accoglieva, invaghendosene, ogni dea di bellezza e di bontà. I fiori - anche nel suo testamento lasciò una somma cospicua per la flora del Palatino - la musica, l'elevazione della gente minuta, il rimboschimento dei monti, la maggiore fecondità dei campi ebbero in lui un apostolo appassionato. Pochi come lui sentirono e vissero questi grandi anni della nostra storia. Dopo la guerra, il Boni che dagli studi profondi e dall'amore alla terra che sembrò fargli sentire la virtù perenne della stirpe, aveva derivato una fede sicura nel destino della Patria, seguì con fervido, entusiastico consenso l'opera di rinnovamento nazionale iniziata e promossa da Benito Mussolini: per l'avvenire d'Italia aveva la stessa mistica fede che lo spingeva a ricercarne il passato amorosamente. L'abbiamo deposto sul Palatino fra i mirti ed i lauri che egli stesso educò: come in vita, così dopo la morte, egli rimarrà del Colle sacro il genius loci
e la sua memoria si rinnoverà col perenne rinnovarsi delle primavere latine che egli seppe far fiorire in questi austeri silenzi". (Applausi).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni,16 novembre 1925.