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BALDISSERA Antonio

27 maggio 1838 - 08 gennaio 1917 Nominato il 04 marzo 1904 per la categoria 14 - Gli ufficiali generali di terra e di mare. Tuttavia i maggiori generali e i contrammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività provenienza Veneto

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente

Onorevoli colleghi! [...]
Un collega insigne nelle armi, Antonio Baldissera, dopo la lunga infermità finì la vita in Firenze l'8 gennaio. Nato in Padova da famiglia udinese il 27 maggio 1838, avuta l'educazione militare, e presi i primi gradi fuori d'Italia, lo avemmo capitano della nostra fanteria nel 1866. Bravura di soldato, genio di ordinatore, fortezza di carattere, qualità esimie di condottiero, lo resero ammirato nell'esercito. Fu colonnello splendido del 7° Bersaglieri dal 1881 al 1886; maggior generale nel 1887, tenente generale nel 1892, ebbe ad acquistare i meriti più segnalati nell'Eritrea. Speditovi dopo i sinistri di Saati e di Dogali e statovi governatore; ritornatovi comandante supremo nel disastro di Adua; le armi nostre rialzò, le cose restaurò, che avrebbe condotte a maggiore onore dell'Italia, se ambo le volte non gli fosse stata attraversata la via dalla errata politica. Nondimeno lasciò nella colonia tracciato il suo riordinamento; onde i fiori della gratitudine posti dal ministro delle colonie sul feretro; ed il ricordo pubblico, di cui al ministro dà parola il governatore, che la colonia ergerà dove sorge la forte figura restauratrice del generale. Premio ebbe dalla Maestà del Re l'Ordine militare di Savoia la prima volta, e dello stesso ordine la seconda volta il gran cordone. Non inorgoglì; e silenzioso si tenne al datogli comando di corpo d'Armata; pur sempre vanto dell'esercito, e fidanza della nazione. Ma ahi sventura! Giunse la sua età al limite; l'esercito se ne afflisse; e fu doglia pubblica ed invocazione di una deroga, che lo conservasse al servizio attivo. L'uomo ossequente alla legge ed amico dell'uguaglianza, ei stesso si oppose, e subì sereno la posizione ausiliaria nel 1906, il collocamento a riposo nel 1910. Fu nostro amato collega dal 4 marzo 1904.
Il ministro della guerra proferì innanzi alla salma onoranda la riconoscenza del Governo, la riverenza di tutte le armi; esprimendo qual maestro fu Antonio Baldissera in quartiere ed in campo, quale esempio abbia dato di militari virtù e della devozione al dovere. Sente pure il Senato quanto culto sia dovuto alla sua tomba. (Vive approvazioni). [...]
LAMBERTI. Dire del generale Antonio Baldissera come si conviene al soggetto ed a voi, in quest'Aula dove egli sedette per dodici anni circondato dalla vostra particolare affettuosa considerazione, tanto più dopo che ne parlò or ora coll'usata maestria il nostro amato e venerato Presidente, non è cosa che io possa fare senza peccare di ardimento, pur sapendosi da molti quali vincoli d'affetto a lui mi legassero.
Tuttavia, incoraggiato dalle sollecitazioni di qualche amico carissimo del Senato e dalla esperienza fatta altra volta dell'animo vostro indulgente, tenterò di fare del mio meglio per interpretare il vostro pensiero e in particolare quello dei colleghi dell'esercito, il meno indegnamente.
Il generale Baldissera nato in Padova e non in Udine, come da molti erroneamente si afferma forse perché friulano d'origine, proviene da rispettabile famiglia di modesto funzionario allora dimorante in Padova, ricco di prole ma non di fortuna.
Senza aver potuto approfondire quanto di confuso è corso per la stampa sugli anni della sua prima infanzia e giovinezza, è certo che egli in età ancor tenera fu ammesso all'Accademia militare di Neustadt in Vienna, probabilmente dispensato da tutta o da metà della retta perché figlio di funzionario della Stato. Dotato di ingegno e di amore allo studio, vi si distinse uscendo dall'accademia appena diciannovenne quale sottotenente di seconda classe nel 59° reggimento di fanteria; e, non erano trascorsi due anni, che già aveva conseguito la promozione a capitano e veniva chiamato a far parte dello Stato maggiore generale. Destinato alla fine del 1859 al comando di una compagnia in un battaglione Cacciatori rimase in detto corpo e con tal grado fino alla fine del 1866, allorquando, col trattato di pace fra Austria e Italia dell'ottobre di quell'anno, il Veneto poté essere incorporato nel Regno d'Italia ed il Baldissera, per effetto del trattato medesimo, poté entrare col suo grado nell'esercito italiano, sottraendosi ad una lotta di sofferenze interne lungamente durata fra il dovere di soldato e il sentimento di italiano, lotta che chi di lui ha, come me, conosciuto intimamente l'animo ed il carattere, ben comprende quanto sia stata atroce e tremenda.
Dopo aver subìto l'aspettativa per riduzione di corpo per circa un anno, soggiornando in Firenze, e destinato al 31° reggimento fanteria nel quale rimase per circa dieci anni, fino cioè alla promozione a tenete colonnello, poté contrarre in tale reggimento amicizie che gliene resero caro per tutta la vita il ricordo.
Assunto al comando del 10° reggimento fanteria nel novembre del '79, dopo poco più di un anno fu trasferito al comando del 7° bersaglieri, nonostante le sue insistenti preghiere per non essere distolto dal 10° fanteria cui si era affezionato. Il Ministero, pur apprezzando il nobile sentimento che lo faceva restio a cambiare di comando, mantenne le sue determinazioni notificando al colonnello con lettera lusinghiera che ciò era nell'interesse del servizio e costituiva attestato di fiducia.
Questi particolari sono sufficienti per porre in rilievo come, nonostante le ostilità di quei tempi e la giovine età del Baldissera, le simpatie, l'ascendente e la fiducia da lui meritata in breve volgere di anni, dovessero essere il frutto di un talento e di qualità non comuni.
Buono ed affabile con tutti, sebbene severissimo con sé e con gli altri nell'adempimento del suo dovere, non si irritava dei contrasti anzi amava che le contrarie opinioni gli fossero francamente affacciate. Anche la mia amicizia con lui sorse in seguito ad una forte diverganza di opinioni manifestatasi nell'emettere i giudizi su truppe e terreno allorquando, nelle manovre del 1880 sulla Sesia, disimpegnavamo entrambi le funzioni di giudici di campo, egli colonnello del 10° fanteria, io tenente colonnello comandante di un battaglione alpini. La divergenza fu presto appianata generosamente da lui con una stesa di mano. Fummo amici da allora e solo la morte ha potuto spezzare un legame di quasi quarant'anni, alimentato via via da comunanza di guarnigioni, da convivenza in medesimi reparti organici, da vicende importanti insieme corse.
Al termine della spedizione di San Marzano, per la proposta del comandante stesso della spedizione, il generale Baldissera, che sotto gli ordini di lui aveva comandato una brigata di fanteria, fu lasciato in colonia al comando delle truppe e al governo di Massaua. Sono troppo noti i particolari che accompagnarono il primo periodo di comando del Baldissera nell'Eritrea; l'assetto organico, la estensione e la sicurezza di confini da lui data alla colonia, il talento spiegatovi, le benemerenze acquistate. Pure ricorderò come nel fatto di Debeb e di Saganeiti, quando per esso si mossero appunti dal Governo e dall'opinione pubblica al generale, egli seppesi giustificare così bene con una relazione così lucida, sobria, piena di logica e di dignità che chiunque l'abbia letta non può non aver provato la stessa impressione che ne ebbi io, quella cioè che chi l'aveva scritta ed era in causa era uomo di qualità superiori. Anche quando più tardi sorsero gli attacchi per talune esecuzioni capitali fatte in colonia al tempo del Livraghi, il contegno tenuto dal generale Baldissera e l'assunzione esplicita fatta da lui in giudizio davanti al Tribunale di ogni responsabilità per quegli atti, che dichiarò atti di Governo anche se commessi dai suoi funzionari, valse a dissipare ogni ostilità ed a mettere in luce sempre maggiore la figura del generale. Però il cessare di una causa di censura non impediva il sorgerne di un'altra, perché la stampa, per ragioni di politica acre del tempo, non rimase dal biasimare con aspra critica le cose nostre di quella colonia non risparmiando naturalmente il generale; il quale, nello intento di sollevare il Governo e la colonia, insisteva per essere rilevato da quel comando. Ma il Governo era troppo penetrato dell'utilità di mantenervelo per non resistere il più a lungo ad accontentarne il desiderio. Ragioni di salute vinsero nel 1889 le resistenze del ministro Bertolè Viale, il quale con bellissima lettera, dicendosi dolente di dover cedere dinanzi al bisogno del generale di provvedere alla sua salute, lo ringraziava a nome del Governo degli importanti servigi resi. E quando nel principio del 1893, spinto sempre da ragioni di salute, scossa dal lungo soggiorno fatto in colonia, trovandosi da tempo in licenza, domandava insistentemente il suo collocamento in disponibilità, il Ministero scriveva al comandante del corpo di Armata di Bari da cui il Baldissera dipendeva come comandante della divisione militare di Catanzaro che gli si fosse accordata qualsiasi proroga o preso qualsiasi provvedimento a favore di lui, pur di non allontanare questo ufficiale generale dal servizio effettivo dell'esercito. Ciò dica in qual conto era tenuto.
Le vicende africane del '95 e '96 trovavano il generale Baldissera al comando della divisione di Novara, che egli aveva assunto fino dal luglio del '93 dopo aver comandato per un anno quella di Catanzaro. Il Governo, non contento dell'andamento dato alle operazioni militari di quella campagna dal generale Baratieri, aveva fino dal dicembre pensato al general Baldissera come l'unico che potesse colla piena fiducia del Governo e del paese, risolvere favorevolmente quella campagna. Corsero fra il 23 e il 24 dicembre trattative fra il ministro della guerra e il generale tenute segretissime e di cui io ho avuto solo recentemente precisa conoscenza; ma non conosco quale portata abbiano avuto in quel tempo.
Certo è che, al tempo della battaglia di Adua, il generale Baldissera era già da giorni in viaggio sotto il finto nome di un funzionario civile, ed aveva avuto istruzioni segrete per recarsi a Massaua con avviso che a Porto Said o a Suez altre istruzioni gli sarebbero pervenute per proseguire su Massaua e solo ivi giunto abbandonare il carattere di funzionario civile ed assumere il comando e i pieni poteri civili e militari della colonia.
Il generale Baldissera, salvo errore, per un ritardo del piroscafo sbarcò solo nella notte del 4 marzo a Massaua e al mattino del 5 diramò a tutti i presidii e corpi telelgraficamente l'ordine di assunzione di comando, contemporaneamente invitando me che trovavomi all'Asmara, a dichiarare se i provvedimenti da me dati, in ispecie per talune forniture relative ai trasporti, io credessi conveniente se dovessero essere mantenute. Alla sera del giorno 4 io era stato raggiunto dal generale Baratieri in Asmara, dove io avevo assunto tra il 2 e il 3 il comando di tutte le truppe procedendo alla riorganizzazione di quelle ivi ripiegate dopo la rotta. Questi uffici, mantenutimi dal generale Baratieri, li cedetti il giorno successivo al generale Baldissera quando nel pomeriggio del 5 egli raggiunse l'Asmara. Nell'abbraccio che ci scambiammo, il piacere di ritrovarci e la fede che tutto si sarebbe riparato, tolse, almeno pel momento, ogni riflesso di preoccupazione pel triste accaduto. La massima serenità traspariva dall'animo del generale, il quale mi tenne seco fino alla giornata di poi, invitandomi a ritornare subito a Massaua nonostante le mie insistenze per restare con lui, dichiarandomi essergli la mia presenza necessaria a Massaua.
Il generale, approvando in massima le disposizioni sommarie da me date, confermò al maggiore Salsa l'incarico da me datogli di recarsi dal Negus per trattare del seppellimento dei nostri morti e al tempo stesso opportunamente indagare (se il caso lo volesse) l'animo dell'imperatore scioano sulla possibilità di una pace immediata per noi vantaggiosa. Le istruzioni date dal generale al maggiore Salsa condussero all'accordo di taluni punti fondamentali per un trattato di pace ed amicizia fra i due paesi che il generale con telegramma del 12 marzo trasmise al Governo centrale, chiedendo di trattare col Negus perché a suo parere i patti ottenuti erano quanto di meglio in quel tempo potevasi ottenere. Il Ministero solo dopo dieci giorni, e sollecitatone, rispondeva che si sarebbe potuto accettare la clausola di escludere ogni idea di protettorato da parte nostra, ma dovevasi obbligare il Negus ad includere nel trattato la dichiarazione che non avrebbe accettato il protettorato di qualsiasi altra nazione. Le trattative furono rotte davanti all'imposizione di questo obbligo che pare il Negus non volesse accettare.
È bene ricordare che, quando avvenne la battaglia di Adua, era da giorni diffusa in colonia la voce che il Negus col suo esercito dovesse riprendere al 5 di marzo al più tardi la via delle sue terre, non trovando modo di sopperire nel Tigrè ai bisogni dell'esercito. E in effetto la ritirata del Negus col grosso delle sue forze, nonostante il combattimento vittorioso, avvenne subito dopo la rottura delle trattative di pace fra il 15 e il 20 marzo, probabilmente e principalmente pel fatto che in colonia era giunto il generale Baldissera.
E di quel numeroso esercito non rimasero che le truppe di Ras Mangascià e quelle di altri capi del Tigrè coll'intento di tener testa agli italiani ed investire Adigrat, dove era racchiuso con circa 2000 uomini il maggiore Prestinari; quello stesso valoroso ufficiale che alla condotta eroica di quel tempo volle aggiungere recentemente il sacrificio della vita sugli altipiani di Asiago alla testa di una brigata di fanteria contro il nostro secolare nemico. Ciò dice come non fosse inopportuno il momento per pensare a trattare la pace e come i patti che il generale Baldissera aveva saputo ottenere fossero realmente vantaggiosi quasi concordando con quelli ottenuti due anni più tardi con sacrifici di vite, di prigionieri e di denaro.
Abortite le trattative di pace, i provvedimenti per la continuazione della campagna, che non erano stati interrotti, furono ripresi dal generale Baldissera colla maggiore possibile intensità.
Ed egli dopo una ricognizione da lui fatta colla scorta di una sola compagnia lungo tutto il terreno che voleva percorrere per dar battaglia al nemico, ed essenzialmente per liberare il presidio di Adigrat, dispose per la marcia ed avanzata delle nostre truppe con ordini tali e con esecuzione così esemplare da suscitare l'ammirazione dei competenti anche stranieri.
Adigrat venne liberata e la campagna considerata finita verso i primi di maggio. Essa procurò al generale Baldissera. un meritato trionfo e il Governo gli concesse quale attestato di riconoscenza e di plauso il massimo onore militare da noi esistente colla croce di cavaliere di gran croce dell'Ordine militare di Savoia.
Si disse che il Baldissera volesse proseguire la campagna e ne fosse impedito dal Governo. Ma tali asserzioni non hanno un reale fondamento; inquantochè il Baldissera, nel riferire sulle resultanze ottenute, espresse al Governo il parere che, salvo ordini contrari coi resultati ottenuti, cacciati cioè i dervisci da Cassala, liberato il presidio di Adigrat e sgombrato tutto il terreno attorno alla linea del Mareb-Belesa, per il momento non vi fosse convenienza di procedere oltre. Tutto al più si sarebbe potuto tentare l'avanzata fino ad Adua. Ma anche questa sarebbe stata impresa molto arrischiata.
Chiunque abbia preso parte alla campagna di quell'anno, o possa immaginare le grandi difficoltà allora affrontate o abbia cognizioni sufficienti di quelle che in genere offrono le campagne affricane in terreni sprovvisti di ogni risorsa, e particolarmente in quel tempo in cui una sola era la comunicazione e appena someggiabile fra il mare, base di operazioni, e l'esercito operante a distanza di dodici tappe, comprende come non potesse il generale Baldissera, così acuto negli accorgimenti e nelle previsioni e così maturo di esperienza, consigliare un'impresa che esigeva grande preparazione e accumulazione di mezzi ivi non esistenti.
Del resto altre errate convinzioni, oltre questa, si fecero strada e sono rimaste intorno alle cose di quel tempo: come ad esempio che al Baratieri fosse nota la sua sostituzione di comando per parte del Baldissera, prima che questi arrivasse in colonia.
Il nome di Baldissera che già da tempo era circondato di tanta considerazione, dopo i successi di questa campagna salì tanto in alto, come a pochi fu dato prima di allora, dopo il nostro risorgimento italiano. Il suo prestigio nell'esercito era tale che non eravi ufficiale che non menasse vanto o non ambisse l'onore di servire sotto il comando di lui. Ed è davvero commovente il cumulo di lettere raccolte in pacco voluminoso dalla tenerezza della figlia, che al generale pervennero in quell'epoca da ufficiali desiderosi di essere destinati sotto il suo comando in Africa.
La sua popolarità nasceva dalla bontà colla quale trattava i suoi ufficiali, pur essendo inflessibile contro qualunque infrazione ai suoi ordini, tanto più se derivante da mancanza di attività o di buon volere.
Ricordo, ad esempio, come poco dopo l'arrivo del generale ad Asmara, egli, me presente, facesse spedire al tenente Mulazzani, oggi generale, allora comandante il presidio di Adiquada, un telegramma presso a poco così concepito: “Qui giunto mio primo pensiero è di mandare a lei un affettuoso saluto”.
Nonostante tanto prestigio che il generale godeva presso il Governo, nell'esercito e nel paese, le lotte politiche non avevano tregua e nella questione affricana trovavano largo campo di esplicazione ingenerando nel Governo osteggiamento ed incertezza; onde al generale Baldissera, che tutto cercava di rendere la nostra colonia veramente prospera ed utile, si negavano i mezzi necessari e alle sue domande si rispondeva solamente con promesse.
Convinto egli allora di non potere conseguire quanto riteneva suo obbligo, lasciò la colonia silenziosamente ed ottenne di riprendere il comando del corpo d'Armata al quale era stato già in precedenza destinato.
Sopraggiunti i moti politici del '97 e '98, fu da Ancona trasferito al comando dell'ottavo corpo d'Armata in Firenze ed investito delle funzioni di commissario straordinario per reggere la Provincia di Firenze e successivamente tutte le altre della Toscana. Anche in questo non facile mandato riscosse, oltre al largo plauso del Governo, le generali simpatie della popolazione toscana.
Ripresa la vita ordinaria di guarnigione, tutta la sua attività e tutte le facoltà dell'animo suo furono dedicate per intiero e con fervore di apostolato all'ammaestramento degli ufficiali. Talune frasi, da me rilevate in alcuni suoi appunti a lapis, come:.
"È la pace utilizzata che fa i buoni eserciti ;
Le manovre di battaglione sono le più istruttive;
Manovre a scopo didattico;
Non vi sono né vincitori, né vinti;
Azione meccanica ed intellettuale;
Eseguisce bene chi è comandato bene"; dicono i criterii ai quali si inspirava e possono in qualche modo dare una idea del metodo col quale egli disimpegnava l'ufficio di educatore ed istruttore, tutto intento a formare buoni quadri per l'esercito italiano.
I frutti di tale metodo li abbiamo veduti nell'opera che si è spiegata dal nostro esercito in questa campagna gloriosa sotto la guida del generale Cadorna, che fu capo di Stato maggiore ben amato del generale Baldissera e da lui tenuto in grande estimazione.
Lo hanno grandemente provato gli importanti servigi resi dal valoroso generale Pecori Giraldi recentemente restituito ai sommi gradi dei quali mai aveva demeritato. Lo hanno provato e lo provano gli ufficiali generali e superiori in gran parte discepoli di tale maestro che sanno trascinare con costante successo i nostri bravi soldati.
Signori senatori, ho ormai abusato troppo della vostra pazienza e debbo conchiudere.
Gli onori che vennero resi alla memoria del generale Baldissera dalla stampa italiana; le concordi manifestazioni di quasi tutti i membri del Governo, il quale volle che il ministro della guerra intervenisse ufficialmente in suo nome ai funerali del generale; la congerie immensa di telegrammi, lettere e manifestazioni di ogni genere di cordoglio e da ogni ceto per tanta scomparsa; in particolare i telegrammi preziosi dell'amato nostro Sovrano e di quasi tutti gli augusti membri della famiglia reale; il telegramma affettuoso del nostro amato Presidente e quello in specie inviato dal ministro delle colonie, che in pochi accenti è un vero inno di poesia e di riverenza, dicono quanto profonda fosse nel paese e in ogni ordine di persone la considerazione, l'affetto e la riconoscenza verso il generale che al paese la maggior parte della sua vita aveva consacrata dedicando tutto se stesso al bene dell'esercito, finché l'infermità non lo rese del tutto impotente, infermità che egli sopportò stoicamente sempre sereno, nulla chiedendo e spesso all'esercito rivolgendo il suo pensiero. Le dimostrazioni avute in Firenze, dove egli aveva si lungamente vissuto e dove i suoi affetti erano così profondamente radicati, furono tali che il ricordo ne è incancellabile.
Nonostante la inclemenza della stagione, nonostante la pioggia dirotta e costante, nonostante si fosse in giorni feriali e in ora assorbita dal lavoro, quasi per una tacita intesa le vie percorse dal convoglio si empirono di popolo. Quello stesso popolo che venti anni prima aveva cantato il nome di Baldissera per le vie con stornelli e canzoni di guerra, quello stesso popolo che in ogni incontro aveva dato a vedere la sua simpatia pel generale, ora si mostrava così costernato della sua dipartita.
Parve quasi una apoteosi popolare sorta naturalmente al dischiudersi della tomba dell'uomo che mai aveva cercato onori in vita.
O illustre amico, non ti sia discaro il saluto, povero di forma ma caldo di affetto che io ti do anche in nome dei tanti che ebbero o vollero il vanto di essere stati ai tuoi ordini, il mio saluto reverente e pieno di riconoscenza, associato al voto, indubbiamente a te il meglio accetto, che possa il tuo spirito essere al più presto allietato dagli echi della vittoria raggiunta dalle nostre armi per opera dei condottieri che impararono da te a fortemente sentire o a magistralmente combattere. (Vive approvazioni).
MORRA DI LAVRIANO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORRA DI LAVRIANO. Soldato, non saprei lasciar scendere nella tomba un amico carissimo come Antonio Baldissera, senza inviargli anch'io un saluto; ma dopo le nobili parole del nostro illustre Presidente e la commemorazione specialissima del collega Lamberti, sicuramente non mi dilungherò a parlare. Io vi invito solo, onorevoli colleghi, a mandare un saluto a chi, dopo la giornata fatale di Adua, seppe far rilevare il valore delle armi italiane, col prestigio del suo nome e con un semplice e pronto schieramento di truppe che impedì all'avversario, con forze immensamente maggiori delle nostre, di continuare ad attaccarci.
Il nostro collega Baidissera, affranto dal male, da lungo tempo non poteva venire fra noi: e la sua mancata presenza in Senato rincresceva a noi tutti, perché egli rappresentava una.parte eminente del nostro esercito.
Egli non ebbe, al pari di altri nostri colleghi militari, commemorati in altre sedute, la gioia di vedere la auspicata, gloriosa vittoria delle nostre armi; ma gli spiriti loro aleggiano dal cielo e certamente prenderanno la maggior parte alle nostre glorie. (Approvazioni vivissime).
MURATORI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MURATORI. Con la morte di Antonio Baldissera è scomparsa una grande figura di soldato valoroso e sapiente, di cittadino insigne, di amministratore dotato di grandi virtù di intelletto e di cuore.
Ma, soprattutto, Baldissera fu un carattere. Legato a lui da vincoli d'affetto e di amicizia specialmente negli anni gravissimi della politica africana, potei altamente apprezzare la lealtà del suo carattere di soldato, la fede convinta nella sua missione, che si riassumeva in queste due parole: l'onore della bandiera, la fede provata e sentita alle nostre istituzioni.
I primi anni della sua carriera militare che furono per lui cagione di grande dolore, di sacrificio e di abnegazione, dagli intemperanti della politica o dagli impulsivi gli furono rimproverati in un momento in cui aveva reso grandi servizi al paese, ed egli, non ebbe né una parola di protesta, né una parola di risentimento per tutti coloro che l'avevano ingiustamente attaccato. La sua protesta fu l'adempimento del dovere con intenso amore per questa Italia, mai dubitando dei suoi grandi destini; la sua protesta fu il grande attaccamento all'esercito, che servì con devozione tale che nessuno poté superarlo, che pochi assai poterono uguagliarlo.
Non posso né voglio esaminare in questo momento tutta la vita di lui, mi limito solo a ricordare i due più grandi episodi della sua esistenza, episodi che ancora forse la storia non ha illuminato abbastanza; ma quando saranno noti in tutti i particolari, la figura di Antonio Baldissera, ne uscirà più grande ancora di quello che finora è apparsa.
Egli fu per due volte mandato in Africa in momenti assai gravi e difficili. Nel primo periodo, dopo Dogali e Saati, col suo prestigio, con la sua sapienza, con la costanza nel lavoro riordinò non soltanto le forze militari dell'Eritrea, ma ben pure il Governo civile, dando esempio di sapienza amministrativa e lasciando traccie indelebili nel riordinamento della Colonia.
Richiamato, e rimandato, più tardi, il domani della battaglia di Adua, sulla quale ancora la storia non ha detto l'ultima parola, col prestigio del suo nome, ricompose l'esercito scompaginato e disfatto, e ne impose tanto sul nemico, che lo stesso imperatore Menelick dichiarava di voler subito restituire tutti i nostri prigionieri; ma Baldissera intendeva arrivare fino ad Adis Abeba per vendicare quella voluta e immeritata sconfitta. La politica però ricordata dal nostro illustre Presidente, e me lo perdoni il Senato, veramente settaria, arrestò la mossa trionfale di lui. Fu allora che egli, coll'intuito del grande condottiero, ordinava ad un generale ardimentoso, la di cui memoria mi compiaccio col ministro delle colonie di aver evocato, al generale Stevani di resistere ad ogni costo, e questi manteneva il nostro possesso di Kassala, che fu poscia vigliaccamente ceduta.
Questa seconda fase dell'azione italiana in Africa è la gloria maggiore di Antonio Baldissera. Sapienza militare, prestigio di valoroso soldato, devozione alla bandiera, fede nell'anima per i nostri destini, riabilitarono il nome d'Italia in quelle contrade. La sconfitta di Adua si tramutava in una grande vittoria; ma la setta trionfava e Baldissera ritornava in Italia. (Approvazioni).
Colto all'improvviso, ed ignorando la commemorazione odierna di lui, il Senato vorrà perdonare queste mie parole disadorne, sgorgate dal cuore, per la memoria di lui, del quale non sai se ammirare più il carattere o la modestia, o la fermezza e la bontà dell'animo; e mai come a lui sono applicabili le parole di un grande scrittore: La morte non è il nulla; la morte è l'avvenimento del vero. E finché il vero in tutte le sue manifestazioni avrà il culto delle anime elette, la sua memoria sarà benedetta e rappresenterà per noi la grande figura del soldato italiano, l'onore della bandiera. Antonio Baldissera, oggi come sempre, brillerà tra le stelle della patria nostra. (Vivissime approvazioni). [...]
DE BLASIO. [...]
Aveva anche versatile la mente e sapeva adattare tutta la sua attività giuridica alle varie funzioni a cui era chiamato.
Fu, perciò, ottimo giudice istruttore, valente procuratore del re, valentissimo presidente di Tribunale, stimatissimo procuratore generale di appello e primo presidente di Cassazione.
Ora questo egregio è passato; non resta di lui che il caro ricordo d'un magistrato valoroso, e dei segnalati servigi che ha reso al paese.
Ed il ricordo durerà a lungo nei cuori.
Visse senza macchia, morì senza macchia; la toga che immacolata l'aveva avvolto in vita, immacolato l'avvolge nel sepolcro. (Approvazioni vivissime).
ORLANDO, ministro dell'interno. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ORLANDO, ministro dell'interno. Con parole brevi, ma con profonda commozione e con reverenza io, a nome del Governo, m'inchino dinanzi alla memoria dei nobili e compianti uomini, dei quali, durante questo periodo di vacanze, il Senato è rimasto deserto. [...]
E di proposito, in nome dell'esercito ed in nome dell'Amministrazione coloniale, sarà pur detto di Antonio Baldissera, di questa magnifica figura di valoroso, sapiente, vittorioso condottiero, il quale seppe restituire all'Italia la fede nella virtù delle sue armi e nel valore dei suoi soldati, nel tragico giorno in cui questa fede poté sembrare scossa.
Gli occhi suoi si chiusero prima di aver potuto ammirare la vittoria definitiva delle armi nostre; ma egli visse abbastanza per aver veduto le virtù eroiche dei combattenti del Carso e delle Alpi, che può dire di avere alimentato egli stesso, soldato esemplare. (Vive approvazioni).
MORRONE, ministro della guerra. Domando di parlare.
PRESIDENTE, Ne ha facoltà.
MORRONE, ministro della guerra. Come soldato, a nome dell'esercito, mi associo di tutto cuore alle nobili parole dette in quest'Aula in onore del generale Antonio Baldissera.
Antonio Baldissera, dotato di mirabili energie di mente e di cuore, con fervore di apostolo l'intera vita dedicò alla pratica di quelle virtù militari che fecero di lui un esemplare soldato e un geniale condottiero.
Le più gravi difficoltà mai ostacolarono l'opera sua, e in mezzo ad esse conservava ognora indomita la sua volontà e incrollabile la sua fede.
Erano così note le sue rare doti di carattere e di energia, che era invalsa nell'esercito la fiducia di credere implicitamente, favorevolmente, risolta qualsiasi più difficile impresa fosse a lui affidata.
Era affezionatissimo alle sue truppe e ai suoi ufficiali.
Fu apprezzato preparatore di ufficiali nella pratica di guerra; e l'onorevole Muratori poc'anzi, con inspirata ed efficace parola, ha detto quanto il generale Baldissera fosse sapiente e valoroso condottiero nella nostra spedizione africana, e come egli tenesse alto l'onore della bandiera italiana.
Il suo nome, la sua memoria è e sarà sempre ricordata dall'esercito al quale egli dedicò la sua integra ed operosa esistenza; e sarà ricordato quale una delle più belle personificazioni del carattere militare. (Approvazioni).
COLOSIMO, ministro delle colonie. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COLOSIMO, ministro delle colonie. Alle nobili parole pronunciate dall'illustre Presidente dell'Assemblea e dai senatori Lamberti, Morra di Lavriano, Muratori e dai miei colleglli il ministro dell'interno e ministro della guerra in memoria di Antonio Baldissera, come ministro delle colonie, ed in mio nome personale, mi associo con animo veramente commosso.
Non desidero e non voglio rievocare episodî e fermarmi su circostanze, per quanto salienti, della sua fortunosa carriera. Io credo, onorevoli senatori, che ad onorare la memoria di Antonio Baldissera basti mettere in evidenza le doti che più rifulgono dalla sua complessa, figura di uomo; le doti.di soldato, di condottiero e di cittadino. Come soldato si ricorda la sua rigidezza inflessibile, disposata a un gran senso di giustizia e ad una infinita bontà, per cui veniva conquisa l'anima del soldato e rafforzato il sentimento del dovere. Come condottiero, seppe, in momenti tristi per la patria, dopo la giornata infausta di Adua, risolvere in sorti meno tristi la fine della campagna con Adigrat liberata e Cassala spazzata dalle orde dei dervisci; seppe infondere in tutto il mondo abissino la riverenza, direi quasi la paura, del suo nome; il rispetto del nome italiano.
Come cittadino si rese benemerito della colonia, segnò le prime norme, dettò le vie da seguire per la prosperità della colonia medesima. Il suo nome rimane indissolubilmente legato alla storia della nostra colonizzazione. Io m'inchino riverente dinanzi alla memoria di Antonio Baldissera che tanto bene ha meritato del paese. (Approvazioni vivissirne, applausi).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 6 marzo 1917.