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AURITI Francesco

24 febbraio 1822 - 03 aprile 1896 Nominato il 25 novembre 1883 per la categoria 08 - I primi presidenti e presidenti del Magistrato di cassazione e della Camera dei conti provenienza Abruzzo

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Domenico Farini, Presidente

Signori senatori! Varcato di pochi giorni il settantaquattresimo anno di età, il di 3 aprile, moriva in Roma il senatore Francesco Auriti.
Rammentare che egli soffrì per causa di libertà; encomiare il magistrato insigne; dire l'eccellenza della mente, l'animo mite, la bontà dell'uomo potrebbe apparire soverchio in mezzo a voi, dove rimane vivo e parlante l'eloquente oratore, il sapiente giurista, il collega carissimo.
Però è bene che, col lugubre annunzio della sua dipartita, risuoni qui l'eco della grande stima e dell'affetto onde lo proseguimmo; e di qui si segnali ed acerbamente si rimpianga essere stato, alla magistratura ed al Senato insieme, rapito un illustre.
Dottrina, integrità avevano procurato nel foro chietino una fiorita clientela al defunto, dopo che a stento poté ottenere Facoltà di esercitare l'avvocatura; per essere stato fra i sospetti, i perseguitati, i carcerati della sua Guardiagrele l'anno 1848.
Maturo di età e di senno, poiché la nativa provincia fu libera, entrò negli uffici giudiziari nei quali stette per oltre trentacinque anni e toccò il culmine.
Alla Cassazione di Roma ascritto sino da quando si istituì, per ben dieci anni ne presiedette una sezione; indi ne fu procuratore generale, precisamente dal marzo 1886. Nel supremo magistrato trovò il maggior campo delle nobili sue fatiche; in esso il valoroso ingegno, nutrito e afforzato da profondi studi non soltanto nelle materie giuridiche, apparve in tutto il suo splendore. L'amore vivace della giustizia, la dignità del carattere, la vita modesta, il coraggio che in lui si ammirarono gli costituirono una reputazione al disopra del maltalento; dicontro alla quale la critica tacque, la diffidenza in se stessa si rose, il dispetto impotente s'infranse. Giudicasse od accussasse lo scrupoloso culto della legge, la religione della giustizia devotamente osservò; tanto nelle aule giudiziarie quanto nelle parlamentari, alle quali appartenne per due anni quale deputato di Chieti (XII legislatura), per più di dodici come senatore (25 novembre 1883) fu sempre ed anzitutto un magistrato.
Stanno a prova dell'alto suo sentire intorno all'eccelsa missione dell'ordine giudiziario, che è cardine su cui regge, base su cui poggia la società, gli splendidi discorsi letti alle corti cui appartenne, in ispecie alla Cassazione romana; tanto vibra dentro essi e si manifesta tutto il suo animo.
Ora è il nobile orgoglio di contribuire da questa Roma patria immortale del giure.. a dare unità al patrio diritto..fattore fecondo d'unità nazionale:qua l'austero esortare i giovani magistrati pur nella vita privata.. a consuetudine di riserva e di isolamento, sacrificando in gran parte il conforto d'intime amicizie per rimuovere ogni ombra d'ingiusti sospetti; là prorompere il grido sdegnoso: io non ho mai sentito su me né intorno a me il minimo segno di pressioni dall'alto;altrove deprecare: deh! i magistrati si guardino.. dalle influenze che sono le più pericolose, che s'insinuano nell'animo di soppiatto e che poi si subiscono senza avvedersene.. nell'opera loro quotidiana riaffermino la loro autorità, con quella sapienza, fermezza e dignità di cui hanno dato tanto esempi.
Magistrali ammonimenti, sante parole che in un alle dotte sue sentenze e requisitorie saranno perpetuo onore degli annali giudiziarii, come i parlamentari si pregieranno dei suoi discorsi nelle due Camere. Davanti alle quali egli, che se mai altri fu temperato e tenero della pacifica coesistenza, sotto l'impero della legge, del potere secolare e degli ordinamenti ecclesiastici, non esitò, quindici anni prima che il Codice le sanzionasse, a consigliare riprendesse lo Stato, a tutela della libertà, le garanzie penali della quali aveva fatto getto. Ed affrontando, fra i molti, un altro dei maggiori problemi onde sono i nostri giorni travagliati, caldamente raccomandava a voi, dopo studio assiduo, i provvedimenti per risarcire gli infortuni del lavoro; legge che, in sua opinione, dedotta non solo da un sentimento d'equità e d'interesse sociale, ma eziandio da un concetto giuridico si chiariva matura, autorevole, non connessa ad aspirazioni indefinite.
Imperocché il rigido giurista, non abbacinato dagli empirismi per quanto coloriti di pretesa utilità, avesse anche qui coll'agile ingegno, per via di acute e sottili distinzioni, cercato il nodo della quistione e, rintracciandolo nel rischio professionale, ne derivasse, a fil di logica, il precetto dell'assicurazione obbligatoria, conforme agli inconcussi principî di diritto. In queste od altre somigliante lunghe ricerche, lungamente assorto, noi lo miravamo sovente astratto, segregato, quasi inconscio dell'ambiente che attorno gli viveva e si agitava; così grande era la trepidanza che ne tormentava e dominava l'animo candidissimo.
Tale fu Francesco Auriti che nel santuario della famiglia, nel trionfo del vero e del buono, cercò ed ebbe le sue consolazioni, le sue gioie; cittadino, magistrato esemplare cui il rispetto e la venerazione dei contemporanei diedero nome ed onore non caduco.(Vive approvazioni). [...]
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Pascale.
PASCALE. Signori senatori; legato a Francesco Auriti per vincoli di antica e fida amicizia, resi più saldi dalla comunanza dell'ufficio, esercitato per ben tre lustri nel magistrato del Regno, io non posso dispensarmi dall'aggiungere qualche parola a quelle nobilissime pronunziate dal nostro Presidente, per rendere un pubblico tributo di reverenza e di affetto all'uomo illustre, che la magistratura e il Parlamento rimpiangono.
Francesco Auriti ebbe fama ben meritata di giureconsulto eminente per forte ingegno e soda dottrina, per profondi e larghi studi; dai quali egli non ristette mai fino agli ultimi giorni dell'operosa sua vita, seguendo con giovanile ardore il rapido e vasto movimento intellettuale dell'età nostra.
Come di Leibnitz fu detto, dirò di lui che egli portava nelle disquisizioni giuridiche l'ordine, la precisione, l'acume di un intelletto educato alle più alte discipline matematiche.
Nell'arte di riassumere e condensare in formole precise e complete i più ardui ed astrusi concetti giuridici, forse, egli non ebbe uguali fra gli odierni giuristi. Le sentenze da lui dettate ritraggono la magistrale ed elegante sobrietà dei responsi degli antichi giureconsulti romani.
Di lui Quintiliano avrebbe detto: vir probus loquenti peritus.Ed egli fu veramente oratore efficace per sincerità di convincimento, per facilità di eloquio sempre corretto e per potenza dialettica piuttosto unica che rara.
Fu magistrato incomparabile per zelo costante nell'adempimento de' suoi doveri; per la cura assidua, indefessa, che egli poneva nella ricerca del vero: ricerca spesso affannosa, direi quasi febbrile, quando imbattevasi in problemi di dubbia soluzione; ricerca nella quale tenacemente insisteva, fino a quando ogni ombra di dubbio non era rimossa dalla sua coscienza. Fu magistrato esimio per profondo, incrollabile, squisito senso di giustizia e di moralità, che informò tutti gli atti della sua vita, tutti i suoi scritti, tutte le sue parole.
Questo complesso di esimie doti gli ottenne nella curia e nel foro un alto grado di estimazione, un'autorità che a pochi magistrati è dato di conseguire; mentre d'altra parte, la sua modestia, la schiettezza dei suoi modi, la semplicità dei costumi, la sincerità dell'animo, e il naturale candore non menomato per nulla dalla triste esperienza della vita, l'indole mite e benevola, lo circondarono di amici affettuosi e devoti.
Ma, signori colleghi, una qualità dell'animo suo che meno appariva ed era quasi nascosta, è quella che più rifulse nell'ultimo e malinconico periodo della sua vita, e fu come estremo bagliore della lampada che si estingue.
Vivo, fervido amor di patria riscaldava il suo petto, tiepido in apparenza. Questo sentimento, che spesso si confonde con altri meno laudabili, era per lui fiamma purissima, che tenne alto il suo cuore e la mente fino a quando non fu scossa la sua fede negli alti destini della patria.
Però quando vennero i giorni infausti, quando molte speranze furono deluse e un dubbio tormentoso penetrò nel suo cuore, la fibra gli venne meno, la sua salute declinò rapidamente, e sopraffatta dal dolore delle pubbliche calamità, quella nobile esistenza scomparve, lasciando in mezzo a noi un vuoto, che difficilmente sarà ricolmato.
Io credo di farmi interprete del voto unanime dei miei colleghi, pregando la Presidenza di voler comunicare alla famiglia dell'illustre estinto le condoglianze del Senato. (Benissimo).
CANONICO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CANONICO. Dopo venti anni di relazioni quasi quotidiane col compianto senatore Auriti, io non posso far tacere in questo momento la voce del cuore: ed esprimendo il sentimento mio, credo di esprimere altresì il sentimento dei miei colleghi nel collegio giudicante della Corte suprema, sentimento certo non difforme da quello testé sì splendidamente manifestato dall'onorevole senatore Pascale, procuratore generale.
Più ancora del magistrato erudito, dall'alto ingegno, dalla logica acuta e sottile, dalla stringente dialettica, in Francesco Auriti io ho sempre ammirato ed amato l'uomo. La vita della mente era in lui alimentata dalla vita del cuore; dalla singolare bontà dell'animo, dall'affetto alla famiglia, dall'amore per tutti.
Mai io non ho udito uscire dalle sue labbra una parola che fosse meno che benevola per chicchessia; amante operoso del bene, egli non sapeva pur sospettare in altri ombra di male.
I suoi studi, il suo ufficio, la sua famiglia, erano tutta la sua vita. Il suo conversare, semplice ed affettuoso, improntato ad un candore e ad un'ingenuità quasi infantile, irradiava d'intorno un'atmosfera serena di pace. L'anima sua sensibile ad ogni cosa buona, sdegnosa di ogni men che nobile sentimento, passava immacolata attraverso le sozzure, come il raggio del sole fra i miasmi delle paludi.
Nell'amore profondo per la povera nostra patria, in cui l'ingegno abbonda ma sì spesso è fuorviato dall'ambizione e dall'interesse personale, in cui il senso del vero e del giusto non fa certo difetto ma è sì spesso attutito dall'inerzia morale o travolto dalle passioni (cagione non ultima delle nostre sventure), io auguro alla patria mia molti uomini, che, pari a Francesco Auriti nelle doti dell'animo, facciano vivere con coraggiosa ed incontaminata energia questi tesori nella vita, non pure privata, ma pubblica; affinché l'Italia, risollevata dalla sua depressione attuale, possa ripigliare il suo posto ed adempiere la vera ed alta sua vocazione all'avanguardia dei popoli civili. (Vive approvazioni).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole guardasigilli.
COSTA, ministro di grazia e giustizia.Le commemorazioni nobilissime del compianto collega Francesco Auriti, fatte dall'illustre Presidente e dai colleghi Pascale e Canonico, non lasciano a me altro compito che quello di associarmi in nome del Governo alle espressioni di largo compianto, col quale oggi fu ricordato il suo nome.
Sarebbe superfluo, d'altronde, che io dicessi di più, trattandosi di tale uomo il quale ha lasciato un'orma incancellabile nelle opere degnissime della Corte suprema, della quale fu ornamento, prima nella magistratura giudicante, e poi nel pubblico ministero, continuatore in quest'ultimo ufficio dell'opera di un altro altissimo magistrato e venerato collega, il compianto senatore De Falco; sicché d'entrambi si può affermare che furono onore della nostra magistratura suprema.
Sarebbe superfluo ricordarlo a voi, colleghi suoi, che lo avete avuto compagno nelle nobili lotte della politica e della legislazione in questo recinto; che avete ammirato quel sentimento profondo di giustizia, di verità, che non dava tregua né pace a quell'anima eletta, perché era per la giustizia, per la verità, ch'egli esclusivamente viveva, a cui consacrava tutte le sue forze.
Strano contrasto! In quel corpo esile, in quell'animo mite e modesto, grande era il cuore, profonda la virtù, fiera l'indipendenza del carattere, così che, per unanime consenso, poté essere proclamato veramente degno del posto che occupava come magistrato nel supremo consesso giudiziario e come uomo politico nel Senato. (Benissimo - Approvazioni).
Con animo commosso e riverente io mi associo quindi alla proposta del senatore Pascale perché siano inviate alla famiglia Auriti le condoglianze del Senato: mai, come questa volta, saranno l'espressione di un omaggio reso all'ingegno, alla dottrina, alla santità dei costumi ed alla virtù civile. [...]
PRESIDENTE. L'onorevole senatore Pascale propone, come il Senato ha udito, che si esprimano le condoglianze dell'alta Assemblea alla famiglia del compianto senatore Auriti: io propongo che siano estese le condoglianze a tutte le famiglie dei senatori defunti che furono commemorati. (Benissimo).
Pongo ai voti questa proposta. Chi l'approva è pregato di alzarsi. (Approvato).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni,4 maggio 1896.