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ARMÒ Giacomo

28 settembre 1830 - 09 giugno 1909 Nominato il 04 dicembre 1890 per la categoria 10 - L'avvocato generale presso il Magistrato di cassazione e il procuratore generale dopo cinque anni di funzioni provenienza Sicilia

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente

Onorevoli colleghi! [...]
Un altro nostro collega è passato fra i più, che uffici eminenti dello Stato esercitò. Giacomo Armò che della toga colse tutti gli onori nella magistratura giudiziaria, morì il 9 di questo giugno in Palermo, ove nacque il 29 ottobre [sic] 1830. I primi passi a servire la giustizia fece giovanissimo, prima che su d'essa rifulgesse la libertà. Per vinto concorso riuscì alunno di giurisprudenza pratica presso il procuratore generale dell'antica corte suprema siciliana; ed il 1860 lo trovò degno di essere procuratore del Re. Il pubblico ministero in Girgenti, in Messina, in Palermo ne' vari grandi rappresentò nobilmente, mantenendone le grandi tradizioni: giunse consigliere alla Corte di cassazione palermitana; sedette presso della medesima avvocato generale; procuratore generale salì presso quella di Torino; tornò alla Corte suprema di Palermo primo presidente; in ambe le sedi preclaro, sino al collocamento a riposo dell'agosto 1896, nel quale rimase insigne.
Nel periodo di questa presidenza fu scelto all'onore del Governo per la giustizia in momento difficile; fu ministro guardasigilli dal settembre al novembre 1893; troppo brevemente, perché si vedesse quanto l'ordine giudiziario dal suo senno si attendeva. Rientrato nella magistratura, che fu l'amata professione della sua vita, in essa sopravvivono i ricordi dei pregi di lui; dell'opera pronta ed assidua; dell'eloquenza delle requisitorie, della dottrina delle conclusioni, dell'acuto e profondo opinare e decidere. Il suo sapere conservasi pure in qualche pregevole scritto giuridico. La fiducia de' concittadini gli diede venticinque anni di partecipazione autorevolissima al Consiglio comunale; la devozione pubblica ne ha circondata la salma; le sue benemerenze gli son state riconosciute in solenni funerali a spese del Comune.
Nominato senatore del Regno il 4 dicembre 1890, non poté che raramente darci la sua presenza. Ne tenemmo caro il nome; lo piangiamo estinto. (Approvazioni).
TODARO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TODARO. Mi associo a quanto ha detto sul compianto senatore Armò il nostro Presidente, e dico che non saprei far di meglio che ripetere le parole che, con la sua grande autorità, ha elegantemente e giustamente pronunciate.
Solamente, in questa triste ricorrenza, oso aggiungere che, oltre all'integerrimo magistrato e al profondo giureconsulto, quale ci è stato rilevato dal nostro Presidente, l'Armò fu pure uomo di cuore e patriota esimio; per cui la sua dipartita è lamentata non solo dai giuristi, ma altresì dalla sua desolata famiglia, da' suoi concittadini e da quanti ebbero la fortuna di conoscere le rare virtù che adornarono la sua persona.
Porto dunque qui il sentimento di dolore dell'intera Sicilia, ove è vivo il ricordo di quanto operò l'Armò, quando l'isola insorse contro i Borboni e, scacciatili, proclamò l'unità della grande patria italiana.
In lui le virtù dell'intelletto si congiunsero con quelle dell'animo, il valoroso magistrato fu sempre unito al nobile e amoroso cittadino, e, con tali doti riunite in modo eminente, percorse la carriera della magistratura fino ai più alti posti, e pervenne a reggere il Ministero di grazia e giustizia.
Se in questo posto non lasciò tracce durature lo fu per esservi rimasto poco tempo; ma nella sua lunga carriera di magistrato lasciò tracce luminose di sé: per la grande cultura giuridica, che diffuse con gli scritti e portò ovunque mosse il passo, e soprattutto per la fermezza e l'integrità del carattere, e per la rettitudine e l'amore con cui amministrò la giustizia, il senatore Armò lascia un esempio da imitarsi dalla magistratura.
Adunque il senatore Armò fu esemplare, come padre di famiglia, come cittadino e come magistrato. E però, nel rendere il mio riverente tributo d'ammirazione alla sua memoria, prego il Senato a volere inviare un telegramma di condoglianze al sindaco di Palermo, la città che diede i natali a tant'uomo, ed un altro alla desolata famiglia che lasciò immersa nel più profondo dolore. (Approvazioni).
PRESIDENTE. II voto manifestato dal senatore Todaro sarà soddisfatto.
FILÌ-ASTOLFONE. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
FILÌ-ASTOLFONE. Il Senato vorrà essermi indulgente se dovrò occuparlo per breve momento per compiere un mesto ufficio, e solo per ricordare il nome del compianto senatore Giacomo Armò.
Il nostro Presidente, ed il senatore Todaro hanno degnamente commemorato le rare virtù dell'estinto e come magistrato e come cittadino ed io mi associo cordialmente ad essi. Magistrato anche io, fui alla sua dipendenza e ne rievoco con riverente affetto la cara e nobile figura che la morte ci ha rapito. Giacomo Armò fu tra i magistrati più preclari, e fra le più elette intelligenze, ed ovunque fu chiamato ad adempire il proprio ufficio, sia nella magistratura giudicante come in quella requirente, emerse sempre per la salda e varia cultura, per l'eloquio facondo, per la dialettica stringente ed elevata, e sempre solenne, nell'adempimento del suo Ministero, sicché nella magistratura egli rifulse per luminosa dottrina di cui purtroppo va oggi mancando l'esempio.
Ebbe ingegno versatile, e quando gl'inesorabili limiti di età lo tolsero alla giustizia, egli, infaticabile sempre, si diede alla consulenza libera, nella quale coloro, che ne invocarono i lumi, lo trovarono sempre ispirato all'illuminato equilibrio giusdicente ed equo del consultore. Fu consigliere comunale della sua diletta Palermo, solerte ed abile amministratore d'istituti secondarii, del Monte di pietà e del Manicomio, ed, in una parola, ove fa invocata e rivolse la sua moltiforme attività, lasciò ovunque traccie ammirabili della sua feconda opera.
Del cittadino e dell'uomo di famiglia basterà dire che fu sposo e padre esemplare, ed il largo rimpianto della sua natia città, così caldo e sincero, anche nell'ora triste e luttuosa della sua scomparsa, si ripercuote dolorosamente nel Senato, nel quale fu circondato di tanta spontanea simpatia e di meritato ossequio. (Approvazioni).
CEFALY. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CEFALY. Alla commemorazione fatta di Giacomo Armò dal nostro Presidente, e dai senatore Todaro e Filì-Astolfone, sento il dovere di associarmi a nome delle Calabrie, ove il senatore Armò fu presidente della Corte di appello, e ha lasciato fama duratura di insigne e grandemente benemerito magistrato. (Approvazioni).
GIOLITTI, presidente del Consiglio, ministro dell'interno. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
GIOLITTI, presidente del Consiglio, ministro dell'interno. II ricordo fatto dall'illustre Presidente del Senato, e dai precedenti oratori, dei meriti insigni degli uomini che il Senato ha recentemente perduto, dimostra il dolore di questa Assemblea, al quale si associa il Governo.
Mi consenta poi il Senato di rivolgere una speciale parola di rimpianto alla memoria del senatore Armò, che fu mio collega come ministro di grazia e giustizia, nella quale epoca ebbi occasione di ammirare l'altezza del suo ingegno e la fermezza del suo carattere, ciò che giustifica pienamente gli elogi fatti a lui, come uomo e come magistrato. (Approvazioni).

Senato del Regno. Atti parlamentari. Discussioni, 15 giugno 1909.