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ANTONACCI Giuseppe

04 luglio 1810 - 20 settembre 1877 Nominato il 24 maggio 1863 per la categoria 21 - Le persone che da tre anni pagano tremila lire d'imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria provenienza Puglia

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Sebastiano Tecchio, Presidente

Signori senatori! [...]
Giuseppe Antonacci, di famiglia ricchissima, nato a Trani il 4 luglio 1810.
Diede opera agli studî primarî e secondari nel Liceo di Bari e nel seminario di Trani. Indi prese il cammino che guida i giovani alla scienza del giure.
Arrivato all'età di 25 anni, e bramoso di leggere nel gran libro delle cose, prese innanzi tutto a viaggiare parte a parte l'Italia.
La sua vita pubblica cominciò nel 1847. Nominato in quell'anno a presidente del Consiglio distrettuale di Barletta, inaugurava le proprie funzioni con un discorso, del quale non parmi inopportuno di rapportare il frammento che segue:
“Non si creda (così l'Antonacci) non si creda che la giustizia sia un esclusivo attributo del magistrato ordinario, o, a parlare più propriamente, del potere giudiziario. La giustizia, presa nel suo augusto significato, sorpassa la stretta cerchia del potere dei tribunali. Invece forma la parte più essenziale dei doveri del magistrato amministrativo; il quale può (se il voglia) raggiungere il più nobile scopo della giustizia, conservando i popoli nell'attualità, se buona, migliorandoli, se lo stato attuale lo esiga. Felice dunque può dirsi quel popolo che nel suo amministratore trovi il vero depositario di questa giustizia; istrutto nelle leggi a lui affidate; onorato e riverito, senza essere temuto; che inspiri confidenza nei suoi amministrati, e prevenga i bisogni del paese, per conservare l'ordine civile, e ben provvedere alla prosperità degli individui”.
Negli esordî dell'anno appresso fu chiamato a capo della Guardia nazionale di Trani. Aveva salutato con lieto animo le istituzioni rappresentative, ottriate a Napoli. Il dabben uomo non prevedeva che in fretta, in furia, morrebbero affogate nel sangue.
Indi a poco, venuto in sospetto alla polizia, fu implicato in un processo politico: lo cercavano gli sgherri per menarlo alle carceri: poté riparare a bordo di un vascello inglese, a andar via dal Reame con passaporto spagnuolo, mercé gli aiuti del conte di Siracusa; il solo dei Principi di casa Borbone, che dispettasse la tirannide e nutrisse amore alla patria.
Più tardi, reduce a Napoli per sopravvegliare alla educazione dei figliuoli, si strinse in intime relazioni coi migliori di quei cittadini, ed altresì con conte Groppello ministro di Sardegna; al quale forniva ragguagli esattissimi di ogni fatto, di ogni incidente che venisse ravvivando nelle regioni del mezzodì la speranza dell'italico affrancamento.
Quando i plebisciti del 1860 han fatto paghi i suoi voti, non s'imbrancò tra coloro che portendendo servigi e meriti, veri o non veri, domandavano onori e seggi e soprattutto stipendî.
Contento e modesto, nel '61 si ridusse alla nativa Trani; e, tutto inteso a vantaggiarne le condizioni economiche e le morali, apriva a se stesso un campo e un periodo di operosità, piuttosto singolare che rara.
Ivi contribuì largamente alle incette, onde provenne la non iscarsa pecunia che diede l'essere a ragguardevoli istituzioni di carica cittadina. Ivi, non senza solerti adiutori, fondò la Cassa di risparmio. Ivi membro principalissimo di quell'associazione che valse a creare ed organare le scuole serali, il Monte di pietà, il tiro a segno, e porre i germi di varie altre opere di pubblica utilità.
Un decreto reale del 24 maggio 1863 l'ha annoverato nell'ordine senatorio.
Un altro reale decreto lo fece Sindaco di Trani: nel quale ufficio diede a conoscer che non per parere, ma perché sentiva entro l'anima la convinzione del vero, già nel discorso del 1847 a Barletta avea definito così altamente, come abbiamo udito poc'anzi, il magistrato cittadino cui viene affidata l'amministrazione or vuoi della sua provincia, or vuoi del comune.
Fortunato il Comune di Trani, se pei fecondi trovati e le assidue diligenze di codesto Sindaco vide la città migliorata, riformata, ringiovanita in ogni verso edilizio; vide aumentato il numero delle scuole popolari; vide sorgere la scuola tecnica; e rifiorir vide i commercî; e (meraviglia ai nostri tempi non piccola) vide netto di debiti il suo bilancio.
Non dirò delle fatiche da lui sostenute e dei rischi corsi nell'anno fatale (il 1867), per ammanire ogni maniera di aiuti agli appestati di chòlera. Basti che quelle fatiche, quei rischi s'abbiano avuto a compenso le unanimi benedizioni della città e del contado.
Sennonché, più crescevano i suoi beneficî al paese, e più si accendevano le invidie, le gelosie degli egoisti, dei presuntuosi. Nel '72 le male voci osarono eziandio penetrare nelle aule dei tribunali; e comunque non giungessero a smuovere la costanza dei giudici, menomarono all'egregio Sindaco la fede (troppo spesso volubile) degli elettori; i più dei quali, nei nuovi comizî per la nomina dei Consiglieri gli disdissero il voto.
Pochi anni addietro era stato veduto piangere acerbamente e la moglie, e ad uno ad uno i figliuoli; l'ultimo dei quali, Francesco, rapitogli nel marzo del 1871, ha meritato (vedete se buono fosse e se degno di amore) ha meritato, non ch'altro, i pietosi ricordi di Alessandro Manzoni e di Nicolò Tommaseo.
Non andò molto che l'affetto all'ufficio pose tregua alle lagrime del marito, del padre. Ma nel dì che gli indissero l'ostracismo dai Consigli del suo comune, il calice dei dolori fu pieno. Né gli ozî privati, né le grandi ricchezze, alle quali non potea più designare un erede del nome avito, riuscirono a mitigargli le memorie dei lutti domestici e della patita ingiustizia.
Si diede mestamente a vagare per tutta Europa. E riveduta un'altra vota la patria, nell'ultima estate (mentre chiedeva alle miti aure di Castellammare di Stabia il ristauro dell'affranta salute) ha esalato lo spirito il dì 20 settembre, nella età di poco più che sessantasette anni.
Furono allora divulgate in istampa queste parole, alquanto espressive nella loro semplicità: “L'Italia, dal 20 settembre 1877, ha un galantuomo di meno".

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 17 dicembre 1877.