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AMARI Michele*

08 luglio 1806 - 16 luglio 1889 Nominato il 20 gennaio 1861 per la categoria 20 - Coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrata la Patria provenienza Sicilia

Commemorazione

 

Domenico Farini, Presidente
Signori senatori! Dovere di ufficio, animo di collega, pietà, vogliono che io rammenti le numerose e gravi perdite fatte dal Senato, i meriti degli estinti.
Il 16 di luglio cessava di vivere in Firenze il senatore Michele Amari, che era nato ottantatré anni prima, l'otto dello stesso mese, in Palermo.
Dal padre, fervido amatore di libertà, imparò l'amore di libero reggimento; dalla sventura, che lo fece in fresca età solo sostegno della madre e dei fratelli, ebbe sprone ad opere insigni.
Ancora adolescente tenne ufficio nel Ministero di Stato, presso il luogotenente generale di Sicilia, nel dipartimento dell'interno. Ma la modesta occupazione non era fatta per il ferace ingegno e la viva operosità di lui, che, chiamato a vocazione di storico, ne acquistò presto fama. Nella quale oltre mezzo secolo di studi levaronlo altissimo; come la storia del "Vespro", col ricordo della gagliardia antica vittoriosa della forestiera signoria, suscitatrice della virtù dei contemporanei a danno della tirannide borbonica, lo ascrisse fra i promotori del nazionale riscatto.
Andato per quella in bando fino dal 1842, le sue "Note alla storia costituzionale di Sicilia di Niccolò Palmieri" venute in luce sul cadere del 1846, in mezzo alla grande commozione di quell'anno, esercitarono un influsso notevolissimo sulla pubblica opinione dell'isola.
Rivide Palermo libera nel 1848, e fu membro della Camera dei comuni; ministro delle finanze nel Ministero Stabile; da ultimo addetto alle legazioni di Parigi e di Londra, per avvalorare colla grande riputazione e le aderenze sue fra quegli stranieri la causa siciliana.
Il 1849 lo cacciò di nuovo in esilio. A Parigi visse, per dieci anni, acquistando nuova rinomanza di dottissimo nella lingua e letteratura araba.
Le quali professò poi non appena insediato il governo della Toscana nell'Ateneo pisano, e poscia nell'Istituto fiorentino di studi superiori. Aiutatore della spedizione che, duce il generale Garibaldi, liberò la Sicilia, fu ministro della pubblica istruzione della dittatura; promotore caldissimo della sollecita annessione.
E fu più tardi, per due anni (1862-64), ministro della pubblica istruzione del Regno d'Italia, essendo stato ascritto a quest'Assemblea non appena proclamato il plebiscito.
Vice-presidente del Senato, membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione, e dell'Accademia dei Lincei, Michele Amari sempre crebbe onore a sé e all'ufficio.
Morte improvvisa schiantò quella vigorosa fibra sulla quale il tempo pareva non avere potenza.
Così d'un tratto scomparvero un corpo vigoroso, un animo tuttora schiuso a tutti gli ideali, un ingegno scintillante di tutta la natia vivezza.
Ma nella memoria nostra, nel nostro affetto dura e durerà lungamente la reverenza per Michele Amari, la gratitudine verso di lui per quanto operò a beneficio della scienza e della patria. (Vivissime approvazioni).
[...]
Senatore ERRANTE. Chiedo la parola.
PRESIDENTE. Il senatore Errante ha facoltà di parlare.
Senatore ERRANTE. Signori senatori!
Michele Amari fu grande storico e sommo cittadino.
Plutarco ne avrebbe modellata la fronte pari a quella di Socrate e di Focione, severamente pensosa e rivelatrice della virtù modesta e dell'animo sublime.
A 14 .anni congiurava col padre per liberare la Sicilia dalla tirannide borbonica e straniera: la sua puerizia lo fece esente di pena; il padre invece fu condannato all'ergastolo.
La sua giovinezza e parte della sua operosa virilità fu consacrata a studio indefesso per sostituire ad un eroe leggendario, la virtù feconda di un popolo intero. Vide sparire Ferdinando I, Francesco I, a cui successe-quel Ferdinando II, che fece ritornare in Sicilia i tempi miserrimi dei Vespri, la truce immagine di Carlo d'Angiò e la fiera magnanima vendetta! Fu allora che egli gridò: eureka. Concepì, maturò e compiè l'arduo progetto di richiamare in vita i tempi, le memorie, le passioni e i fremiti di un'epoca tragicamente storica, scolpita dal divino poeta nel verso:

Mosse Palermo a gridar: mora, mora.

Nella storia del Vespro, come tutti i grandi scrittori, rivelò l'idea segreta dominatrice di un popolo intero, e gittò in faccia quella sfida alla dinastia borbonica, che si tradusse nel duello mortale del 12 gennaio 1848 di ricordanza solenne.
Egli, esule da sette anni in Parigi, a quel grido che riconobbe per suo, ritornò precipitosamente a Palermo, le giovò col senno e con l'ardire; a Parigi, a Londra patrocinò i destini dell'isola infelicissima che vide bombardata Palermo, arse e distrutte Catania e Messina, quest'ultima più sventurata dell''poca del Vespro, che nell'assedio famoso ruppe l'orgoglio di Carlo d'Angiò, uno dei primi capitani dell'epoca.
Nel 1849 naufragata, ma non morta, la rivoluzione siciliana, abbandonata da tutti i potentati d'Europa, ritornò a Parigi, ed ivi visse di stenti, copiando a mercede manoscritti arabi, di cui conosceva appena la lingua, e ne divenne maestro, aggiungendo alla storia dei Vespri quella dei Mussulmani in Sicilia.
Nel 1860, pari alla sua fama, fu segretario di Stato all'istruzione pubblica ed amico intimo di Garibaldi.
Negli ultimi mesi si affaticava con giovanile energia a dar compimento alla Storia dei Mussulmani in Sicilia, ripetendo più volte con mesto sorriso: «Prima che il mio estremo lavoro sia giunto a termine, dubito mi manchi la vita, bisogna affrettarlo».Profondità di studi, ricchezza d'immaginazione, vigore insolito, degno delle due epoche memorande in Sicilia, modestia dignitosa e talvolta acerba, coscienza esatta fino allo scrupolo nell'adempimento del proprio dovere, padre e marito esemplare e avventurato, amico più nella rea che nella prospera fortuna, ecco il collega che abbiamo perduto!
[...]
Gran parte dei nostri compagni del 1848 e del 1860, onorevole presidente del Consiglio, è scomparsa; rimangono ancora pochi solitari nel deserto della vita. Sarà il più infelice chi soggiacendo ultimo al fato comune, dopo di aver diviso coi fratelli di elezione le nobili aspirazioni, i grandi ideali, i martirî della sconfitta e l'esultanza insperata di aver rifatto l'Italia unita e libera con a capo una dinastia gloriosa, memore dei suoi giuramenti sui campi di battaglia e nelle fortunose vicende della politica, non abbia un amico superstite che rivolga alla sua memoria una parola di pianto e di affetto imperituro! (Bravo, bene).
PRESIDENTE. L'onor. presidente del Consiglio ha facoltà di parlare.
CRISPI, presidente del Consiglio. Il Governo si associa di gran cuore alle parole di cordoglio pronunziate dal nostro illustre presidente e dall'onor. senatore Errante.
Fra i nomi che furono ricordati con parole così calde ed affettuose, ne troviamo di quelli i quali sono intimamente legati alla storia delle cospirazioni e delle guerre della nostra indipendenza.
Tanto di Gaetano La Loggia, quanto di Michele Amari, dei quali si è specialmente intrattenuto l'amico senatore Errante, io non potrei dir di più di quello che egli abbia detto.
Michele Amari lanciò direi quasi il fuoco della libertà negli animi dei Siciliani, con un libro il quale, modestamente apparso, per non irritare coloro che governavano allora la Sicilia, produsse tanto effetto nelle popolazioni, che da quel libro, in gran parte, ebbe principio quella educazione, che preparò la rivoluzione siciliana del 1848.
Michele Amari narrando un glorioso periodo di storia siciliana, che più tardi fu ripubblicato in Francia col suo vero titolo di storia della guerra dei Vespri, provò come indarno le tirannidi straniere tentino reggersi quando un popolo sorge compatto per abbatterle.[...]
Ripeto quindi che mi associo di gran cuore alle parole pronunciate dal presidente e dall'onorevole Errante, e son sicuro che il Senato parteciperà ai sentimenti che noi abbiamo qui esposti.

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 26 novembre 1889.