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AMARI Michele

24 giugno 1805 - 07 gennaio 1877 Nominato il 07 febbraio 1861 per la categoria 04 - I ministri di Stato provenienza Sicilia

Commemorazione

 

Sebastiano Tecchio, Presidente
Signori Senatori!
Avevo sperato che non mi arriverebbe più la occasione di rinnovare simili ufficî, tanto gravi al mio cuore.
Ma quella speranza non trovò grazia davanti a Lui, che tiene in mano la vita e sì degli oscuri e dei celebri, e sì dei pusilli e dei forti.
[...] Or ecco, nel giro di appena un mese, discendere nel sepolcro altri sette dei valentuomini, scritti nell'Albo di questa Assemblea.
Erano:
[...] Amari di Sant'Adriano conte Michele; nato a Palermo il 21 giugno 1803 [sic]; Senatore dal 7 febbraio 1861 [...].
Il conte Michele Amari, di stirpe antica, ha speso tutta la vita per la patria, per la famiglia.
Fu decurione di Palermo nel 1836; intendente di Messina nell'êra stupenda del 1848; Deputato al Parlamento siciliano; e quivi Ministro per le Finanze.
Spenta dalle schiere borboniche la libertà, il conte Amari emigrò dal Reame. Prese dimora nella capitale della Liguria. Le angustie dell'esilio non gli impedirono di poter sovvenire alle necessità di molti dei profughi, suoi compagni.
Gli erano nati due figliuoli dalla moglie sua nobilissima, Donna Anna Bajardi; l'ultima erede del nome immortale di quell'eroe senza macchia e senza paura, che, vinta la battaglia di Marignano, armò cavaliere Francesco I.
Con intelletto di padre e di cittadino, il conte Amari allevò i due figliuoli, l'uno all'esercito, l'altro all'armata dei Piemontesi; nel valore de' quali, e nella ostinazione loro meravigliosa, poneva fede, poco meno che unanime, l'ansiosa Italia.
All'esilio di lui, e dei compagni, fecero fine la spedizione e i trionfi dei Mille.
Poco stante, il Dittatore inviava il conte Amari come suo Legato presso il Governo di Vittorio Emanuele. E il Legato, fornita a Torino la commissione del Garibaldi, s'è restituito a Palermo, portatore del programma dell'annessione.
Dopo il plebiscito, sedette meritamente nel Consiglio di Luogotenenza della Sicilia.
Non appena cessata l'autonomia nelle regioni del mezzodì, diventò Senatore del Regno: e tenne, con plaudita saviezza, il carico di Prefetto, dapprima a Modena, dappoi a Livorno; insino a che la età grave e la non ferma salute gli indussero il desiderio di più tranquille funzioni. Onde fu nominato consigliere della Corte dei Conti.
Avea talora parlato al Senato. Parlò di nuovo (e fu l'ultima volta) nel 1875, quando pendeano le sorti del disegno di legge sui provvedimenti straordinarî di pubblica sicurezza.
Di recente, a malgrado de' Colleghi suoi prestantissimi, volle smettere l'ufficio di consigliere: e si allegrò (ahi, per così poco tempo!) del ritorno all'Isola dilettissima che gli avea dato i natali; dico, alla terra de' Vespri, dei quali abbiamo tra noi lo storico illustre.
[...]
Quando ripenso che si corta è la vita quaggiù, e tanto è ingorda delle salme nostre la fossa, parmi udire una voce che mi grida alla mente ed al cuore: presta i tuoi servigi alla patria oggi stesso; forse, se tu aspetti domani, non li potrai prestare mai più!
(Vivi segno d'approvazione. Alcuni Senatori si recano a stringere la mano al Presidente).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 24 febbraio 1877.