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ABBA Giuseppe Cesare

06 ottobre 1838 - 06 novembre 1910 Nominato il 05 giugno 1910 per la categoria 20 - Coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrata la Patria provenienza Liguria

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente

Onorevoli colleghi!
[...]
Sulla tomba di Giuseppe Cesare Abba, apertasi il 5 novembre, è rifiorita tutta la poesia del volontariato italiano alle armi per il patrio riscatto: tutto l'epico dei Mille guidati dal Duce eroico alla vittoria da Marsala al Faro, dal Faro al Volturno.
Prima che all'imbarco di Quarto il poco più che ventenne nel 1859 era partito dal nativo Cairo Montenotte, e, montato in sella, aveva combattuto cavalleggiero di Aosta contro lo straniero nei campi lombardi. Nel 1866, con i galloni d'ufficiale guadagnati alla presa di Palermo, ripigliò le armi, e capitano nella campagna del Trentino, la medaglia d'argento al valore conquistò a Bezzecca.
Quando non fu combattente Giuseppe Cesare Abba fu il cantore, lo storico delle glorie garibaldine, il romanziere delle virtù patrie. Scrisse in Pisa prima di tornare all'armi. Dopo Bezzecca nella nativa contrada fu intento al bene del Comune, del quale resse l'amministrazione, curando in principal modo l'igiene, l'istruzione, il mutuo soccorso.
Niun vanto menando, nulla per sé domandava. Era suo sentimento di non avere altro fatto, che compiere il dovere: sapeva quanti eran stati i valorosi suoi pari. Sì, diciamolo ad onore dell'Italia, i nostri valorosi furono a migliaia, ad eserciti; se ne sparse il sangue; ne sono sepolte le ossa; vediamo i fregi della gloria sul petto de' superstiti. Ma il valore ha un prezioso ornamento, quello della modestia e dell'abnegazione; e questo ornamento del valore, che in modo raro fu nell'Abba, formò il maggiore splendore del suo merito.
Sereno ed austero nell'umiltà della vita privata, non aveva aspirazione, che ad essere educatore della gioventù, per il crescere della nuova generazione degna dei padri ne' nuovi destini.
Scorto fu per avventura da Giosue Carducci, come usasse la penna quella mano, che aveva impugnato la spada, e quella aspirazione raccomandò; l'esaudì il ministro De Sanctis; e, posto l'Abba alle lettere italiane nel liceo di Faenza nel 1881; passato alle stesse nell'Istituto tecnico di Brescia nell'84, e divenuto capo di questo; rimastovi sino al 1900; dedicò all'insegnamento un tesoro di attitudini e di amore. Scrisse nuovamente de' soggetti prediletti e libri di lettura per la scuola e per il popolo utilissimi.
Fuori della scuola e dei libri silenzioso, finita la vita avrebbe, celato al mondo politico, se nella commemorazione in Palermo del cinquantenario della sua liberazione la Maestà del Re, grande estimatore del merito e de' servizi alla patria, non avesse posato lo sguardo su lui. Volle Vittorio Emanuele III, espresse il relatore della Commissione nostra per la verifica dei titoli dei nuovi senatori, "che per colui che da Quarto al Volturno, come in altre campagne di guerra, fu instancabile seguace di Giuseppe Garibaldi; per colui, che fu il più efficace storiografo dell'epopea garibaldina, vi fosse un seggio in Senato". E della nomina fu proposta la convalidazione "quale omaggio ai servizi e meriti, che illustrarono la patria; segno di quella gratitudine, che anima Re e popolo".
Risuonano qui ancora gli applausi del 4 luglio all'ingresso del nuovo collega: ma, fiero destino, all'eco di essi oggi risponde cupo il lugubre lamento! Così rapidamente la morte ce lo ha rapito! Alla desolata vedova di Giuseppe Cesare Abba furono rivolti augusti accenti di compianto. Al dolor nostro prendiamo anche noi conforto, l'unico possibile, dal "glorioso lauro, che copre le tombe dei valorosi. (Benissimo).
[...]
LUZZATTI, presidente del Consiglio, ministro dell'interno. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUZZATTI, presidente del Consiglio, ministro dell'interno.Il Governo si associa con animo profondamente commosso alle parole piene di alto patriottismo del Presidente del Senato, la cui venerata figura rappresenta la nobile pagina del nostro riscatto nazionale, e perciò ha la massima autorità dell'esempio per commemorare coloro che vi hanno preso parte. (Bene).
[...]
Sia conceduto a me di notare brevissimamente il singolare congiungimento di due nomi, quello del senatore Thaon di Revel e di Cesare Abba, i quali rappresentano le due correnti diverse della nostra storia e del nostro pensiero nazionale; l'una, affaticata dal genio di Cavour, l'altra dall'impeto generoso di Garibaldi, che la mente suprema del Re liberatore in felice e luminoso connubio, congiunse per la redenzione della Patria. (Benissimo; applausi).
La nostra rivoluzione italiana, sotto gli auspicii di questi grandi, forse è più sublime, certo più pura della stessa rivoluzione francese, la quale non ebbe, né un Re come Vittorio Emanuele, né un essere prodigioso, la cui grandezza leggendaria cresce per la distanza, come Giuseppe Garibaldi, né un affascinante pensatore, iniziatore di redenzioni di popoli oppressi, come Giuseppe Mazzini, né uno statista eminente e incomparabile, quale Camillo Cavour! (Benissimo; applausi) .
Tutti questi sommi, con metodi diversi intesero a un medesimo intento e le cautele patriottiche degli uni, gli impeti irriflessivi degli altri erano egualmente necessari alla liberazione della patria; sono stretti oggi, alla medesima gloria e nella medesima gratitudine, come nella stessa gloria e nella stessa gratitudine il Senato collega insieme le due scuole della nostra rivoluzione rappresentate da Thaon di Revel e da Cesare Abba. (Bene! Bravo! - Applausi).
La storia, che è la grande uguagliatrice e la pacificatrice ha operato questo miracolo della conciliazione nelle redenzioni comuni. E gli eredi dei nostri grandi, dei quali sono simbolo Thaon di Revel e Cesare Abba tornavano dalle eroiche pugne modesti e silenziosi ai loro studi e ai loro uffici, nell'attesa che la Patria li chiamasse a nuovi cimenti; ammonimento solenne contro i facili gridatori di patriottismi rumorosi e morbosi, i quali vorrebbero monopolizzare il sentimento nazionale, che è, per fortuna nostra, comune patrimonio di tutti gli Italiani, luce d'amore splendente sulla testa degli umili e dei sapienti, nel patto glorioso e inviolabile della solidarietà nazionale. (Bene! Bravo! - Approvazioni vivissime. - Applausi).
[...]
CAVALLI. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
CAVALLI. Se ai colpiti da gravissimo lutto è riserbato un qualche conforto nel compianto generale, certo questo non è mancato, né poteva mancare alla desolatissima famiglia, ai commilitoni ed agli intimi amici di Giuseppe Cesare Abba, la cui perdita ha provato una volta di più la verità del detto del poeta: Giusta di gloria dispensiera è morte.
Io non posso, non devo, ancorché per debito di amicizia verso il vecchio commilitone abbia chiesta la parola, aggiungerne alcuna a quelle pronunciate con tanta autorità - come già disse il Presidente del Consiglio - dal nostro illustre Presidente.
La morte del senatore Abba ci fa ricordare come egli sia vissuto cinquanta anni di una vita modesta, semplice, virtuosissima, mantenendo sempre pura ed intatta la sua bella e nobilissima individualità.
Detto ciò, a me non resta che ringraziare, a nome della famiglia e dei commilitoni, il Governo, il quale ha dimostrato di aver saputo colla sua pronta, colla sua spontanea proposta di legge, rendere omaggio alla memoria di Giuseppe Cesare Abba.
Ma un grande dolore noi conserviamo e conserveremo, perché l'invida morte lo ha colpito sulla soglia del Senato. Giuseppe Cesare Abba sarebbe stato ancora una volta l'orgoglio della schiera dei suoi commilitoni, in quanto che, coll'amore e collo zelo che metteva in tutte le sue azioni, avrebbe potuto e saputo rendere nuovi servizi alla patria nella sua missione di senatore. (Approvazioni vivissime).
GORIO. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
GORIO. Dopo la commemorazione che l'illustre nostro Presidente ha fatto di Giuseppe Cesare Abba coll'autorità del nome suo e con quella che gli viene dall'alto seggio che occupa, con quella eloquenza che è propria degli uomini che hanno preso parte alle vicende nazionali, dopo le parole alate ed ispirate ai sentimenti più elevati e nobili del Presidente del Consiglio e dopo l'esplosione di dolore dell'amico Cavalli, potrebbe sembrare audace che io aggiunga la modesta mia parola, ma il Senato sarà indulgente verso di me, pensando di portare qui alla memoria di Cesare Abba il saluto della mia città di Brescia.
Il Senato unanime con l'intero paese aveva applaudito alla deroga statutaria onde era stato riconosciuto degno di sedere in mezzo a noi, che orgogliosi del fatto acquisto, ne abbiamo accolto l'ingresso in quest'Aula con plauso memorabile.
Brescia lo ebbe per lunghissimi anni e l'ammirò per le opere sue di patriota, di soldato, di scienziato, di storiografo della leggendaria spedizione, lo amò altresì come docente ed educatore della gioventù; e di educatore l'Abba possedeva in sommo grado le doti, perché egli ricco di larga dottrina e di forte intelletto, fu non solo istitutore valoroso, ma vero educatore della gioventù. Ne sentiva tutta l'altezza della missione, ed entusiasta come era di tutto ciò che è bello, buono, vero, egli sapeva trovare colla suggestione dei modi e della parola, e più ancora col fascino della infinita sua bontà, le vie del cuore e della mente dei giovani, affidati alle sue cure ed infondervene il culto. E l'opera sua di educatore riusciva tanto più valida ed efficace, perché all'insegnamento aggiungeva l'esempio di una vita consacrata alla patria ed al pubblico bene, col più grande disinteresse, collo spirito di sacrifizio il più assoluto, con la vita intemerata, austera, illibata, offrendosi in tal guisa documento eloquente e vivente della pratica attuazione degli insegnamenti appresi sui banchi della scuola. E la gioventù da lui incamminata sulla via del dovere e delle civiche virtù, lo ricambiò di riverenza e di affetto.
E fu spettacolo davvero commovente per coloro che parteciparono al funebre accompagnamento, l'infinito stuolo di giovani e giovinette che di lui erano stati discepoli, che in religiosa mestizia volle seguire il feretro del lacrimato maestro.
Brescia che aveva avuto la fortuna di ospitare per lunghi anni Cesare Abba, che lo ammirava e lo amava per le sue opere e per le sue virtù, lo aveva voluto suo cittadino onorario e per due volte, con voto quasi plebiscitario, lo chiamò all'onore di sedere nella cittadina rappresentanza, avrebbe anche voluto che le di lui spoglie mortali fossero raccolte nel suo Famedio, accanto a quelle venerate di Giuseppe Zanardelli; ma la patria che gli aveva dati i natali, reclamò, e legittimamente, il suo diritto, e volle portata a Cairo Montenotte la salma di lui, obbedendosi così anche al rispetto sacro che si doveva alla sua volontà.
Il sentimento di amor figliale che non si era un solo istante affievolito in lui lo portava a dormire l'ultimo sonno nel cimitero del proprio paese al quale avea prodigato le cure più affettuose, presso i suoi morti carissimi, su quella ligure spiaggia e sotto quel cielo di zaffiro, che avevano avuto tante attrattive per lui, vicino allo storico scoglio di Quarto, dal quale aveva preso le mosse la leggendaria spedizione, cui aveva dato il braccio, il cuore e la penna, onde era stata consacrata la libertà e la indipendenza dell'Italia costituita ad unità di nazione.
Col pensiero rivolto a quel modesto cimitero, io rinnovo qui oggi il saluto ed il rimpianto a nome di Brescia, alla memoria del suo insigne cittadino di adozione, assolvendo nel tempo medesimo il debito di esprimere tutta la gratitudine per il Parlamento e per il Governo, che presero così viva parte al lutto suo e resero così alte onoranze all'estinto: al Governo specialmente, che interpretando i sentimenti della nazione prese l'iniziativa suggeritagli dalla pietà e dalla giustizia, per cui alla vedova ed ai figli derelitti fosse risparmiata l'angustia delle ristrettezze economiche. (Bene).
[...]
TITTONI. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
TITTONI (segni di attenzione). Ho voluto attendere che fossero terminate le pietose commemorazioni di tanti insigni colleghi rapiti all'affetto nostro per plaudire alle parole efficacissime dell'onorevole Presidente del Consiglio il quale, ricordando il gran patriota Cesare Abba ha detto molto opportunamente che il patriottismo non può essere il privilegio di alcun partito, ma deve essere il patrimonio comune di tutti e che certe manifestazioni non sono che caricature e contraffazioni del patriottismo stesso.

Senato del Regno, Atti Parlamentari. Discussioni, 5 dicembre 1910.