senato.it | archivio storico

Regolamenti comunitari

Commissione parlamentare per il parere al Governo sul finanziamento di regolamenti comunitari
Commissione parlamentare per il parere al Governo sui decreti per la determinazione dell'onere relativo ai regolamenti comunitari direttamente applicabili nell'ordinamento interno ai sensi dell'articolo 189 del trattato istitutivo della Comunità Economica Europea

Sintesi

VII legislatura (5 luglio 1976 - 19 giugno 1979)
VIII legislatura (20 giugno 1979 - 11 luglio 1983)
IX legislatura (12 luglio 1983 - 1 luglio 1987)
X legislatura (2 luglio 1987 - 22 aprile 1992)


La Commissione, composta da 11 senatori e 11 deputati, fu nominata al Senato e alla Camera il 18 ottobre 1978.

Per l'VIII legislatura fu nominata al Senato e alla Camera il 21 dicembre 1979 e si è costituita il 9 luglio 1980.
Presidente: sen. Giust Bruno, eletto il 9 luglio 1980.

Per la IX legislatura fu nominata al Senato e alla Camera l'8 novembre 1983 e si è costituita il 15 dicembre 1983.
Presidente: on. Contu Felice, eletto il 15 dicembre 1983.

Per la X legislatura fu nominata al Senato e alla Camera il 23 ottobre 1987.

 

Il disegno di legge Finanziamento dei regolamenti comunitari direttamente applicabili nell'ordinamento interno, in relazione all'articolo 189 del Trattato che istituisce la Comunità economica europea, firmato a Roma il 25 marzo 1957, presentato alla Camera (n. 753) il 12 novembre 1976, fu assegnato alla Commissione Bilancio in sede legislativa per essere discusso il 1° e il 16 giugno 1977, data, quest'ultima, in cui fu approvato con emendamenti. Trasmesso al Senato (n. 795) il 24 giugno, fu deferito alla Commissione Bilancio per l'esame in sede referente; esaminato da questa il 22 settembre, fu discusso e approvato definitivamente dall'Assemblea di Palazzo Madama il 28 dello stesso mese. Divenne la legge 3 ottobre 1977, n. 863.

Il disegno di legge, di iniziativa governativa, prevedeva, all'art. 1, «l'istituzione presso la Tesoreria centrale di apposito conto corrente infruttifero denominato "Ministero del tesoro - Somme occorrenti per l'esecuzione dei Regolamenti comunitari in attuazione dell'art. 189 del Trattato di Roma", destinato al finanziamento degli oneri derivanti dai regolamenti comunitari» (Atto Camera n. 753, VII legislatura). Il provvedimento si proponeva di risolvere in tal maniera il problema - in quel momento del tutto inedito, stante la novità dell'introduzione di un sistema normativo primario multilivello operato dai Trattati di Roma - della applicazione immediata dei regolamenti comunitari nell'ordinamento interno italiano, particolarmente provvedendo alla loro copertura finanziaria, nel rispetto dell'articolo 81 della Carta costituzionale che statuiva l'indicazione per legge dei mezzi economici previsti per far fronte agli oneri conseguenti all'introduzione di nuove spese.

L'articolo 189 del Trattato di Roma, reso esecutivo con la legge 14 ottobre 1957, n. 1203, stabiliva che i regolamenti emanati dagli organi delle Comunità europee fossero obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri. Tale disposizione sollevava principalmente un duplice ordine di problemi: il primo, di carattere finanziario, concernente le implicazioni sul bilancio dello Stato derivanti dall'applicazione dei regolamenti comunitari, sempre in relazione alla norma prevista dall'articolo 81 della Costituzione; il secondo, di carattere giuridico e dottrinale, risiedeva fondamentalmente nella controversa questione se i regolamenti comunitari avessero dovuto «trovare diretta applicabilità e tutela giuridica, oppure essere recepiti attraverso un provvedimento di diritto interno» (Atto Camera n. 753, VII legislatura). Su questo secondo punto, la dottrina restò per lungo tempo incerta, anche perché in un primo tempo l'orientamento generale sosteneva che i regolamenti comunitari non «potessero avere immediata applicazione all'interno dello Stato senza che intervenisse una legge di attuazione almeno per quanto riguarda la copertura delle eventuali spese [...]. Si [era] rilevato anche che un diverso avviso avrebbe comportato una indebita sottrazione di competenze legislative agli organi interni dello Stato ai quali la Costituzione demanda il potere di legiferare. In tale sistema [...], la funzione legislativa è affidata a determinati organi; il fatto che norme comunitarie possano avere applicazione diretta nell'ordinamento interno dello Stato, e quindi possano vincolare sia lo Stato sia i suoi cittadini, poteva apparire come una limitazione di sovranità, una sottrazione appunto di competenze legislative spettanti agli organi costituzionali dello Stato» (Camera dei deputati, Commissione Bilancio, VII legislatura, seduta del 1° giugno 1977, intervento del Presidente La Loggia).

Su tale questione si era pronunciata, nel 1973, la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 183 del 18 dicembre di quell'anno, risolveva la questione di legittimità costituzionale sollevata dai Tribunali di Torino e di Genova nel corso di alcuni procedimenti civili, in merito alla «piena ed intera esecuzione» degli accordi stabilita dall'art. 2 della legge 14 ottobre 1957, n. 1203: la Consulta dichiarò, infatti, «non fondata la questione di legittimità costituzionale [...] in riferimento agli artt. 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77 e 23 della Costituzione» (Corte cost., sent. 18 dicembre 1973, n. 183).

La legge n. 1203 del 1957, come affermò la Corte, «con cui il Parlamento italiano ha dato piena ed intera esecuzione al Trattato istitutivo della C.E.E., trova sicuro fondamento di legittimità nella disposizione dell'art. 11 della Costituzione, in base alla quale "l'Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni", e quindi "promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo"» (Corte cost., sent. 18 dicembre 1973, n. 183). La Corte, inoltre, sostenne che le limitazioni di sovranità potessero legittimamente investire anche il potere legislativo dei singoli Stati: l'art. 11, collocato «tra i "principi fondamentali" della Costituzione, segna un chiaro e preciso indirizzo politico: il costituente si riferiva [...] all'adesione dell'Italia alla Organizzazione delle Nazioni Unite, ma si ispirava a principi programmatici di valore generale, di cui la Comunità economica e le altre Organizzazioni regionali europee costituiscono concreta attuazione. È sufficiente considerare le solenni enunciative contenute nel preambolo del Trattato [...], per constatare come la istituzione della C.E.E. sia stata determinata dalla comune volontà degli Stati membri di "porre le fondamenta di una unione sempre più stretta tra i popoli europei" [...] nel preciso intento di "rafforzare le difese della pace e della libertà, facendo appello agli altri popoli d'Europa, animati dallo stesso ideale, perché si associno al loro sforzo" [...]. Non è dunque possibile dubbio sulla piena rispondenza del Trattato di Roma alle finalità indicate dall'art. 11 della Costituzione. Il costituente [...] ha inteso con l'art. 11 definire l'apertura dell'Italia alle più impegnative forme di collaborazione e organizzazione internazionale: ed a tale scopo ha formalmente autorizzato l'accettazione, in via convenzionale, a condizioni di parità con gli altri Stati e per le finalità ivi precisate, delle necessarie "limitazioni di sovranità". Questa formula legittima le limitazioni dei poteri dello Stato in ordine all'esercizio delle funzioni legislativa, esecutiva e giurisdizionale, quali si rendevano necessarie per la istituzione di una Comunità tra gli Stati europei [...] di tipo sovranazionale, a carattere permanente, con personalità giuridica e capacità di rappresentanza internazionale» (Corte cost., sent. 18 dicembre 1973, n. 183).

Il disegno di legge governativo, oltre a prevedere, quindi, la creazione di un fondo particolare finalizzato a finanziare gli oneri derivanti dall'applicazione dei regolamenti comunitari, delineava anche la procedura e le garanzie che avrebbero salvaguardato le prerogative del Parlamento. Se l'art. 1 statuiva, infatti, che «alla determinazione dell'onere relativo a ciascun regolamento comunitario si provvede con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare su proposta del Ministro per gli affari esteri e del Ministro per il tesoro, di concerto con i Ministri preposti alle altre amministrazioni interessate» (Atto Camera n. 753, VII legislatura), lo stesso articolo disponeva su tali decreti presidenziali anche l'emanazione del «parere preventivo, sia pure non vincolante, di una Commissione bicamerale composta da undici senatori e undici deputati, in rappresentanza proporzionale dei gruppi parlamentari, nominati dai presidenti delle rispettive Camere, su designazione dei presidenti dei vari gruppi» (Camera dei deputati, Commissione Bilancio, VII legislatura, seduta del 1° giugno 1977, intervento del Presidente La Loggia). In tal maniera, prevedendo questa forma di controllo da parte del Parlamento, si mirava a salvaguardare l'equilibrio fra i poteri degli organi comunitari e i poteri dei Parlamenti nazionali.