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Disciplina delle imprese artigiane

Commissione parlamentare consultiva per la disciplina giuridica delle imprese artigiane

Sintesi

II legislatura (25 giugno 1953 - 11 giugno 1958)

La Commissione, composta da 7 senatori e 7 deputati, fu nominata dai Presidenti del Senato e della Camera il 1° ottobre 1956.

Il disegno di legge Norme per la disciplina giuridica delle imprese artigiane fu presentato al Senato (n. 773) il 27 ottobre 1954; assegnato in sede deliberante alla Commissione Industria e commercio, fu da questa discusso tra il marzo e ottobre 1955 e approvato il 27 ottobre. Trasmesso alla Camera (n. 1877) il 14 novembre 1955, fu assegnato in sede legislativa alla Commissione Industria e commercio che lo discusse tra aprile e giugno 1956, per poi approvarlo il 21 giugno 1956, emendandolo. Trasmesso nuovamente al Senato (n. 773-B) il 27 giugno 1956, fu discusso e approvato l'11 luglio 1956 dalla Commissione Industria e commercio in sede deliberante. Essendo stato emendato da tale Commissione, lo stesso giorno il disegno di legge fu trasmesso di nuovo alla Camera (n. 1877-B), per essere discusso e approvato definitivamente il 13 luglio 1956 dalla Commissione Industria e commercio in sede legislativa. Divenne la legge 25 luglio 1956, n. 860. Questa legge, oltre a definire i requisiti dell'impresa artigiana, prevedeva, all'articolo 5, l'istituzione di una Commissione parlamentare consultiva che aveva il compito di fornire il parere in merito agli «elenchi dei mestieri artistici, tradizionali e dell'abbigliamento» proposti dal Ministro per l'industria e per il commercio.

Il disegno di legge, presentato dal senatore democristiano Gerolamo Lino Moro, dava voce all'istanza - che proveniva dal settore delle piccole aziende - di attribuire all'impresa artigiana un ordinamento giuridico che la potesse definire, disciplinare e tutelare, considerata l'importanza che essa aveva sempre rivestito nella realtà economica nazionale, costituita, in gran parte, di aziende a conduzione familiare e di mestieri tradizionali. Nella relazione che accompagnava il disegno di legge si leggeva: «È infatti noto [...] che in questa nostra Italia che pur è terra tanto fertile di genialità e tanto feconda di attività artigiane; dove queste sono sempre fiorite e tuttora operano nonostante ostacoli e remore; dove l'undici per cento dell'intera popolazione trae ancor oggi i suoi mezzi di vita dalle botteghe artigiane; dove l'artigianato offre alla bilancia commerciale sicuri capitoli attivi; in questo nostro Paese, che pure ha il culto della personalità umana e della gelosa unità della famiglia, non esiste una sola legge organica che abbia per oggetto l'impresa artigiana che è appunto l'impresa dell'individuo e della famiglia».

Il problema della mancanza di una legge concernente l'impresa artigiana era sentito già da tempo, nonostante l'articolo 2083 del Codice civile già collocasse gli artigiani tra i piccoli imprenditori accanto ai coltivatori diretti del fondo, ai piccoli commercianti e a coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia. Pur, quindi, distinguendo i piccoli imprenditori dall'impresa in generale, il Codice civile operava questa distinzione facendone principalmente una questione di dimensioni d'azienda, ignorando la sostanziale diversità delle loro caratteristiche. Sempre nella relazione del presentatore del disegno di legge si evidenziava che «la legislazione italiana sembra[va] avere finora contemplato un solo tipo di impresa: quella cosiddetta capitalistica nella quale si presentano distinti i classici fattori della produzione e si manifestano quelle relazioni socialmente tanto importanti quali sono i rapporti di lavoro fra prestatori e datori di opera. A queste relazioni molto giustamente si è dato un peso fondamentale e a regolarle fin dal loro primo manifestarsi si è sentito particolarmente impegnato il legislatore. Ma non è stato altrettanto ragionevole che, nell'ansia di aggiornare i sistemi giuridici all'industrialismo nascente e rapidamente affermatosi e sotto lo stimolo pressante dei conflitti di classe, subito manifestatisi nell'impresa industriale, il legislatore abbia trascurato l'impresa artigiana e i suoi non pochi né piccoli problemi; sicché provvidamente è intervenuta la Carta costituzionale ad esprimere con il preciso comando del suo articolo 45 l'inderogabile esigenza che la legge deve provvedere a tutelare ed a sviluppare l'artigianato. È tempo pertanto che anche l'impresa artigiana - per quello che essa rappresenta di vivo, di efficente, di valido nell'economia e nella vita sociale del Paese - abbia la sua legge, il suo primo ordinamento giuridico organico» (Atto Senato n. 773, II legislatura).