Luigi Preti[1953 - 1990]
Luigi Preti nacque a Ferrara il 23 ottobre 1914 da Vito e da Maria Giordani, commercianti.
Era l'ultimo di quattro fratelli: Giuseppe, Emilio e Ilario. Frequentò il liceo classico nella sua città e, nel corso degli anni Trenta, quando era studente di legge nell'Ateneo ferrarese, aderì ai Gruppi universitari fascisti (GUF). Nel 1936 si laureò in giurisprudenza con una tesi di storia delle relazioni internazionali dedicata all'occupazione inglese di Malta, che fu pubblicata due anni più tardi dalla casa editrice Bocca. Dopo la laurea, nel 1936-37, frequentò la Scuola per ufficiali di artiglieria a Bra (Cuneo). Successivamente conseguì, all'Università di Bologna, una seconda laurea, in lettere.
Terminati gli studi universitari, all'inizio degli anni Quaranta si abilitò per l'insegnamento di storia e filosofia negli istituti magistrali e nei licei. Scrive in un suo testo inedito del 2007: «Leggevo già molto Benedetto Croce, le cui idee liberali mi fecero diventare avverso al regime e alla dittatura» (p. 77).
Non abbandonò, comunque, la carriera accademica che, terminata la guerra, lo avrebbe portato a insegnare istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Ferrara.
Nel 1940 sposò Anna Fabbri, allora studentessa di lettere all'Università di Bologna, dalla quale ebbe tre figli: Maria, Paolo e Antonio. Nel 1941 fu richiamato sotto le armi come ufficiale. Fu di stanza a Ferrara fino alla fine del 1942, quando venne trasferito a Nizza.
Nel frattempo era maturata in lui, attraverso una graduale presa di coscienza collocabile tra la seconda metà degli anni Trenta e i primi anni Quaranta, una netta avversione verso il regime fascista e la monarchia. Nel marzo 1943, in seguito a una discussione politica con alcuni commilitoni, fu denunciato da un superiore al Tribunale militare per «lesa maestà, disfattismo e insubordinazione». Dopo un breve periodo di consegna nei propri alloggi, subì l'interrogatorio da parte di un ufficiale del Tribunale militare, di cui in un testo inedito del 2008 scrive: «compresi però che egli non la pensava in modo diverso da me relativamente alla guerra» (p. 21). Preti se la cavò con un trasferimento ad altro reggimento, sempre sulla Costa Azzurra. Poche settimane più tardi, in seguito alla destituzione di Mussolini (25 luglio 1943), ottenne una nuova assegnazione in provincia di Modena, dunque non lontano da casa.
Dopo l'armistizio (8 settembre 1943) e l'occupazione tedesca dell'Italia centro-settentrionale si intensificò e si definì con maggiore chiarezza il suo impegno antifascista, che trovò espressione nella militanza socialista. Nel novembre del 1943 - in seguito all'agguato mortale subito il giorno 14 dal segretario del fascio di Ferrara, Iginio Ghisellini, e alla conseguente fucilazione, il 15 novembre, di undici antifascisti scelti tra i settantaquattro ferraresi arrestati subito dopo l'attentato - Preti, attivamente ricercato dalla polizia nazista e dalle autorità locali della Repubblica sociale italiana, fu costretto a lasciare l'Emilia. Raggiunse prima Milano, poi la frontiera con la Svizzera. Si fermò alcuni giorni nel Canton Ticino, tra Lugano e Bellinzona, poi si stabilì nei pressi di Zurigo, dove rimase quattro mesi.
A Zurigo conobbe Ignazio Silone, che lì dirigeva il Centro estero del Partito socialista italiano (PSI) e il settimanale L'Avvenire dei lavoratori, a cui lo stesso Preti iniziò a collaborare. Come ex ufficiale, Preti fu poi trasferito nel Bernese Oberland, a Mürren, dove era raccolta gran parte degli ufficiali italiani rifugiati in Svizzera. Lì conobbe Amintore Fanfani, insieme al quale faceva lezione agli ufficiali non ancora laureati: Fanfani insegnava economia e Preti filosofia.
Rientrato in Italia al termine del conflitto, fu eletto segretario provinciale del PSI a Ferrara, carica che mantenne dall'aprile del 1945 al giugno del 1946. «Tutte le sere andavo nei vari paesi della provincia per fondare o allargare le sezioni. [...]. Tra il '45 e i primi mesi del '46 raggiunsi i trentamila iscritti al Partito, che sapevo mi sarebbero serviti» (Qualche tappa di un lungo cammino, 2008, p. 45). Come numero di tessere la federazione di Ferrara era seconda solo a quella di Milano.
In seguito alle prime elezioni amministrative nella primavera del 1946, entrò a far parte del Consiglio comunale ferrarese. Nello stesso periodo si svolse a Firenze il XXIV Congresso nazionale del PSI (11-17 aprile 1946), al quale Preti partecipò come segretario della federazione di Ferrara. In quella sede si espresse in maniera contraria rispetto alla proposta formulata da Pietro Nenni di realizzare liste uniche con il Partito comunista italiano (PCI) in tutti i comuni italiani. Fin da allora, dunque, Preti si schierò al fianco di Giuseppe Saragat nel sostenere - inizialmente in maniera prudente, poi sempre più esplicita - una posizione contraria all'alleanza con il PCI.
Nel giugno del 1946 fu eletto deputato all'Assemblea costituente nel XIII collegio, Bologna - Ferrara - Ravenna - Forlì. «Nella Federazione di Bologna comandavano ancora gli anziani con le loro idee un po' arretrate, mentre a Forlì e a Ravenna l'organizzazione era piuttosto modesta. Con i miei 30.000 iscritti ferraresi, pertanto, ero assai forte e puntai su di essi senza preoccuparmi delle altre province (mi pare che uscii dai confini provinciali solamente per andare a Lugo)» (ibid., p. 46). Preti fece bene i suoi calcoli e raccolse più di 20.000 preferenze, piazzandosi secondo dietro solo al popolarissimo ex sindaco di Bologna Francesco Zanardi.
Durante i lavori della Costituente partecipò in maniera significativa alla redazione della Carta fondamentale. Si deve anche al suo intervento la definizione della magistratura come «ordine» e non come «potere» dello Stato, nella convinzione che in un regime democratico il solo autentico potere sia il Parlamento, eletto dal popolo.
Nel gennaio del 1947 Preti aderì al Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI), poi Partito socialista democratico italiano (PSDI), fondato da Saragat in disaccordo con il PSI di Nenni circa l'unità d'azione con i comunisti. Al PSDI Preti restò legato per il resto della sua carriera politica. Nelle elezioni del 18 aprile 1948 venne eletto alla Camera dei deputati, e rimase in Parlamento per ben dieci legislature consecutive, fino al 1987: una presenza che, già negli anni Sessanta, faceva sì che Preti fosse, insieme a Saragat, l'unico esponente socialdemocratico costantemente in Parlamento.
Nel periodo della Costituente e nella legislatura successiva Preti frequentò assiduamente la Biblioteca della Camera dei deputati per condurre gli studi e le ricerche che gli permisero di pubblicare, alcuni anni più tardi, un apprezzato volume di storia del movimento operaio: Le lotte agrarie nella valle padana (Torino 1955), con cui ottenne il premio internazionale Cortina Ulisse.
Nel 1954 arrivò il primo incarico di governo, nell'esecutivo guidato da Mario Scelba, dove Preti andò a ricoprire il ruolo di sottosegretario al Tesoro, con delega alle pensioni di guerra; carica che mantenne anche nel successivo governo guidato da Antonio Segni, fino al 1957. A partire dal 1958 fu a capo di vari dicasteri, soprattutto finanziari e dei trasporti. Nel 1958-59 fu ministro delle Finanze nel secondo governo Fanfani, nel 1962 ministro per il Commercio con l'estero nel quarto governo Fanfani. L'anno successivo entrò nel primo governo, di centro-sinistra, guidato da Aldo Moro come ministro senza portafoglio per la Riforma della pubblica amministrazione, ruolo nel quale fu confermato nel successivo governo Moro (1964-66).
Un tema, quello della riforma burocratica, sul quale Preti intervenne spesso anche nel dibattito interno al suo Partito. Nel merito indicò la necessità di ridimensionare «la pesante baracca dello Stato e quella degli enti pubblici». Una sinistra moderna non poteva più rimanere legata all'idea che politica di progresso significasse «un continuo ingrossamento di tutto ciò che è pubblico». La stessa politica di programmazione avrebbe richiesto uno Stato più snello ed efficiente, quando invece - non senza un'autocritica anche nei confronti del suo Partito - Preti rilevò che «la pubblica amministrazione italiana, nel dopoguerra, è andata sempre peggiorando, a seguito dell'approvazione di troppe leggine settoriali, che hanno concesso privilegi a singole categorie, ma non hanno tutelato l'interesse generale dello Stato» (Discorsi, 1966, pp. 78 s.).
Negli anni successivi Preti ebbe altri incarichi di governo, tra cui quelli di ministro del Bilancio e della programmazione economica (1968-69), dei Trasporti e dell'aviazione civile (1973-74), della Marina mercantile (1979) e ancora ministro dei Trasporti (1979-80), suo ultimo ruolo in un esecutivo. Da ricordare, tra gli anni Sessanta e Settanta, è soprattutto la sua esperienza alla guida del dicastero delle Finanze, con riferimento segnatamente ai periodi 1966-68 (terzo governo Moro) e 1970-72 (terzo governo Rumor e successivo governo Colombo), quando fu il principale promotore di una riforma fiscale volta a modernizzare e a razionalizzare la tassazione dei redditi e la riscossione dei tributi; il provvedimento viene ricordato soprattutto per aver introdotto nel sistema fiscale italiano l'Imposta sul valore aggiunto (IVA), al posto dell'obsoleta Imposta generale sulle entrate (IGE), risalente al 1940.
All'interno del PSDI, della cui direzione faceva parte dal 1950, Preti fu uno degli animatori della corrente Rinnovamento, con la quale si schierò decisamente a favore dell'ingresso del PSI nell'area di governo. Al XIII Congresso nazionale del PSDI (novembre 1962) egli delineò le priorità di governo del centro-sinistra, indicando tre obiettivi fondamentali: la nazionalizzazione dell'energia elettrica, come «sfida al grande padronato»; la riforma della scuola, come «sfida aperta agli ambienti tradizionalisti del nostro paese, i quali, anche se non lo dicono, pensano sempre ad una scuola di classe»; infine, l'introduzione delle regioni a statuto ordinario, pur non essendo mai stato Preti, per sua stessa ammissione, «un acceso regionalista» (Discorsi, cit., p. 52). A preoccuparlo, in merito alla riforma regionale, erano sempre stati l'accrescimento dei costi della pubblica amministrazione e il rischio di un eccessivo frazionamento della legislazione italiana - motivi che lo avevano indotto anche in sede Costituente a raffreddare il più possibile gli entusiasmi regionalistici.
Nel contesto del centro-sinistra, Preti si impegnò a fondo per la riunificazione socialista, ovvero la confluenza di PSDI e PSI in un unico partito. Questa operazione si realizzò nel 1966, con la nascita del Partito socialista unificato (PSU), il quale però esaurì la propria parabola nel giro di pochi anni - nel 1969 - in seguito ai fallimentari riscontri elettorali ottenuti alle politiche del 1968.
Durante quella breve, ma per lui appassionante, esperienza politica, Preti rivendicò al PSU uno «spirito libertario» che, a suo modo di vedere, non trovava riscontro né tra gli alleati di governo della Democrazia cristiana (DC), che continuavano a mostrarsi vincolati alle direttive del Vaticano, né naturalmente nel PCI, ancora legato a doppio filo all'Unione Sovietica. Un libertarismo, quello dei socialisti democratici italiani, che trovava una peculiare espressione nell'impegno - da Preti profuso in prima persona fin dagli anni Quaranta e Cinquanta - per la libertà religiosa e di coscienza.
Sempre nel corso degli anni Sessanta, probabilmente il decennio più pieno e maturo della sua attività politica e culturale, Preti si rivelò al grande pubblico anche come scrittore, grazie alla pubblicazione di Giovinezza, romanzo storico sul fascismo edito da Mondadori, vincitore del premio Bancarella 1964. A questa prima fatica fece seguito, dieci anni più tardi, Un ebreo nel fascismo, e proprio nella prefazione al suo secondo romanzo, edito da Rusconi nel 1974, Preti chiarì le motivazioni civili e le considerazioni di metodo che lo avevano spinto in quella direzione: scrivere di storia attraverso la forma del romanzo nella convinzione che questo tipo di narrazione potesse integrarsi efficacemente con quella storiografica.
Dopo essere stato, dal 1976 al 1980, alla guida del gruppo parlamentare del PSDI alla Camera, Preti fu vicepresidente della Camera dei deputati dal 1980 al 1983. Terminata la sua quarantennale esperienza parlamentare, tra il 1988 e il 1990 fu presidente del Consiglio nazionale del PSDI e successivamente presidente onorario dello stesso Partito, poi sgretolatosi in seguito alla bufera giudiziaria di tangentopoli. Tra gli anni Novanta e il Duemila, Preti animò alcuni piccoli movimenti e raggruppamenti politici collocati nell'orbita del centro-destra berlusconiano (Rinascita socialdemocratica, Socialdemocrazia liberale europea, Movimento per la rinascita socialdemocratica).
Morì a Bologna il 19 gennaio 2009.
La sua biblioteca personale è conservata presso la Biblioteca di giurisprudenza dell'Università di Ferrara.
Opere. La produzione saggistica e letteraria di Luigi Preti è molto vasta e diversificata. Oltre che di opere giuridiche (si veda soprattutto la monografia Diritto elettorale politico, Milano 1957) e di saggi storici di alta divulgazione (a partire dal fortunato volume einaudiano Le lotte agrarie nella valle padana, Torino 1955, fino alle tre monografie degli anni Ottanta: La sfida tra democrazia e autoritarismo. Evoluzione dei regimi politici dalla fine della prima guerra mondiale agli anni Ottanta, Milano 1980; Mussolini giovane, Milano 1982; Giolitti, i riformisti e gli altri: 1900-1911, Milano 1985), Preti fu inoltre autore di testi teatrali (come Interpretazione di Dubcek, Milano 1971) e poetici (l'ultimo dei quali è Ricordi di ottanta anni di vita italiana, Roma 2006, in collaborazione con F. Gibba ed E. Marchetti), di racconti-apologhi di fantapolitica (Anno Duemila. La pace nel mondo: romanzo, Milano 1986), di documentate analisi sulle problematiche socio-economiche (da Italia malata, Milano 1972, a Extracomunitari in Italia e in Europa, Napoli 1991) e di instant-books sulle questioni politiche all'ordine del giorno (da Il compromesso storico. Un problema che divide gli italiani, Milano 1975, a Regioni sì, regioni no, Napoli 1995, passando attraverso L'Italia nella tempesta, Napoli 1993) e sulle nuove tematiche ambientali (Il pianeta Terra in pericolo, Milano 1989, ma non solo).
Un discorso a parte meritano i suoi romanzi storici e di impegno civile. Il primo dei quali, Giovinezza, Milano 1964, contò decine e decine di ristampe (con il titolo Giovinezza giovinezza
). Si tratta di un romanzo corale sul fascismo visto da un gruppo di giovani universitari aderenti ai GUF. Seguirono altri quattro libri di narrativa: Un ebreo nel fascismo: romanzo, Milano 1974, ambientato negli anni 1935-40; Giovani di Mussolini: romanzo, Milano 1990, dove è abbracciato l'arco cronologico 1918-35, dalla fine della Grande Guerra alla vigilia della guerra etiopica, intesa come la grande avventura di una intera generazione di gerarchi fascisti; infine Romanzo del 18 aprile, Milano 1992, con il quale il Preti romanziere si spingeva ad affrontare gli anni dell'immediato dopoguerra.
Inoltre: Gli inglesi a Malta, Milano 1938; Le lotte agrarie nella valle padana, Torino 1955; Discorsi [al] XII°, XIII°, XIV° congresso nazionale del Psdi, Roma 1966; Impero fascista, africani ed ebrei, Roma 1968; Per la coerenza del Partito socialista: discorsi tenuti il 4 maggio 1968, il 31 maggio 1968 e il 26 giugno 1968, Roma 1968; Gli squilibri del 2000. Sovrappopolazione, temperatura e inquinamento, Milano 1998; La crisi della giustizia in Italia. I casi Craxi, Andreotti e Berlusconi, Milano 2000; Io e la famiglia Preti-Giordani, s.l., stampa privata per uso personale, 2007; Qualche tappa di un lungo cammino, s.l., stampa privata per uso personale, 2008; Discorsi parlamentari, 1947-1987, a cura di A.G. Sabatini, I-II, Roma 2011.
Fonti e Bibl.: F. Fornero, Giuseppe Saragat, Venezia 2003, ad ind.; I costituenti ferraresi: Ilio Bosi, Vincenzo Cavallari, L. P., a cura di A.M. Quarzi, Ferrara 2006; M. Donno, Socialisti democratici. Giuseppe Saragat e il Psli (1945-1952), Soveria Mannelli 2009.
Dal Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016), voce di Carlo De Maria.
Luigi Preti
[1953 - 1990]
285 buste e 1 schedario.