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PAOLI Baldassarre

16 dicembre 1811 - 20 gennaio 1889 Nominato il 15 maggio 1876 per la categoria 12 - I consiglieri del Magistrato di cassazione e della Camera dei conti dopo cinque anni di funzioni provenienza Toscana

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Domenico Farini, Presidente

Signori senatori. Voi conoscete già i ripetuti colpi coi quali la morte ci percosse dacché ci separammo. Ma il dovere comanda a me, annunciando quelle ed altre moti, di ricordare i colleghi estinti rinnovando il vostro dolore. [...]
In Firenze dove era nato il 17 [sic] dicembre 1811 mancava ai vivi il 20 di questo mese il senatore Baldassarre Paoli.
Laureato in leggi nella Università di Pisa, esercitò il Paoli fino all'anno 1838 l'avvocatura. Il nome acquistato in essa di assai valente lo trasse dalla libera professione alla magistratura.
Ingegno eccellente, cultore dottissimo del giure, scrittore elegante percorse con assai rapido salire tutti i gradi, giungendo a quello di primo presidente della Corte d'appello di Firenze, che tenne per circa nove anni, fino al giugno in cui, nel 1886, lo obbligò a lasciare l'ufficio la legge inesorabile dell'età, avendone raggiunto il 75°.
Il diritto civile, il diritto penale illustrò con numerosi scritti, documenti della sua vasta dottrina. Né vi fu studio od indagine, intorno a questi argomenti od agli affini, ai quali il Governo ed il Senato non lo invitassero a contributo di consiglio e di opera. Allievo del celebre Carmignani, gli insegnamenti di quel grande, le tradizioni delle natie provincie, lo schierarono fra i fautori dell'abolizione della pena di morte; convincimento nel quale, come egli stesso lasciò scritto, le meditazioni e gli studi della età più matura tenacemente il confermarono.
Consigliere del comune e della provincia fiorentina, amministratore di istituti di educazione e beneficenza, accademico dei Lincei, il Paoli in tutti codesti uffici lasciò vivo rammarico e ricordo gratissimo.
Era senatore dal 15 maggio 1876.
E noi lo vedemmo ancora, sono appena due mesi, discutendosi il Codice penale, in mezzo a noi nella piena vigoria del corpo e della mente, né avremmo certo immaginato allora che ci sarebbe toccato così presto il doloroso ufficio di salutare la sua memoria, e di rimpiangere tanta bella intelligenza, tanto sapere per sempre scomparsi. (Benissimo). [...]
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Puccioni.
PUCCIONI. Signori senatori! In brevissimo corso di tempo quattro insigni giureconsulti, oriundi delle provincie toscane, mancarono al Senato e all'Italia. Ne ricordo i nomi per constatare quali perdite irreparabili e dolorose abbiamo fatto.
Adriano Mari, Francesco Carrara, Ferdinando Andreucci e Baldassarre Paoli.
I primi tre, ai quali mi legava affetto riverente di discepolo, ebbero in quest'Aula degna commemorazione.
I meriti dell''ultimo vi furono testé ricordati con efficaci e commoventi parole dall'illustre uomo, che con unanime compiacimento vediamo restituito a quell'alto seggio.
Né io mi sarei attentato, o signori, di prendere dopo di lei la parola, se a ciò non mi avesse spinto il desiderio di rendere un ultimo tributo alla memoria di un uomo, al quale nei primi anni della mia giovinezza fui avvinto da familiare riverenza ed al quale mi strinse nella più matura età una sincera amicizia,
Baldassarre Paoli fu giureconsulto di antico stampo; ebbe mente elettissima, corredo di larga dottrina giuridica e letteraria.
In lui non so se fosse più da pregiarsi la potenza nel percepire le più sottili questioni, ovvero la facilità di esporre le sue idee con una sobrietà e con una lucidità ammirevoli.
Di queste rare doti (che non spesso si accoppiano in un individuo) lasciò la prova nelle sue sentenze, e nei suoi aurei libri, nei quali egli volgarizzò la scienza del diritto, ed ai quali per modestia dette il nome di Trattati elementari.
Appartenne per quasi cinquant'anni alla magistratura e la illustrò. In questa lunga, faticosa ed onorata carriera, sia che militasse nelle file del pubblico ministero, sia che fosse in quelle della magistratura giudicante, del Paoli mai fu sospettata l'imparzialità del giudizio, la rettitudine della coscienza; e quando, come disse il nostro onorando Presidente, ripetendo auguste parole, l'inesorabile disposizione della legge lo tolse ai suo scanno di magistrato, ebbe un grande conforto, quello di vedere che al suo illuminato giudizio, alla sua serena coscienza si affidarono per risolvere controversie giuridiche, privati epubbliche amministrazioni.
Noi Toscani dobbiamo al Paoli molta gratitudine, perché ricordiamo che egli fu tra i primi di quel nucleo di magistrati che, chiamati ad applicare ed interpretare il novello Codice penale, compilato in giorni all'Italia funesti, promulgato durante l'occupazione straniera, non lo fecero strumento per sfogare passioni politiche e reazionarie, ma si adoperarono a rilevarne i grandissimi pregi; di quel nucleo di magistrati dei quali Adriano Mari, giudice non sospetto, in una celebre sua arringa, che fu poi pubblicata per le stampe, poté dire che furono indipendenti sempre, e che, raccolti nel santuario della giustizia, prima di giudicare non guardarono qual vento spirasse ai di fuori, né s'impaurirono allorché dapprima la torbida fiumana dell'anarchia, poi il nordico gelo si distesero sulle nostre contrade. (Approvazioni).
Il Paoli, o signori, ebbe grandissima parte nel lavoro preparatorio del Codice italiano; e può dirsi senza offendere alcuno che, insieme al Mancini e al Carrara, ne fu uno dei progenitori.
Io ricordo che a lui doleva moltissimo aver dovuto resistere alle incalzanti premure dell'onorevole ministro Zanardelli, il quale, bene a ragione, Io voleva nella Commissione che dovrà dare l'ultima mano a cotesta legge dei delitti e delle pene.
Egli vi si rifiutò, forse perché era presago della prossima sua fine. Mi torna alla mente come nel novembre scorso, seduto meco a quel banco mi dicesse essere quella l'ultima volta che veniva in quest'Aula.
Tanto era in lui l'amore per il Codice penale che (credo far cosa grata annunziandolo al Senato ed al paese) lavorandovi attorno continuamente poté lasciare quasi completo un commento al Codice stesso, che sarà guida, e guida preziosa, a chi lo dovrà applicare.
E a mostrar come egli non potesse distaccarne il pensiero dirò che negli ultimi momenti della sua vita in quei vaneggiamenti che sono forse gli ultimi sforzi dell'intelletto, del Codice parlava e rammentava l'amico suo Pasquale Stanislao Mancini, del quale pianse, come tutti noi abbiamo pianto, amaramente la perdita.
Il Paolo sedé, l'avete udito, nei consigli dei comuni e della provincia, e portò in questi uffici l'operosità sua intellettuale e l'autorità incontestata del suo nome.
Fu alieno dal lotte politiche e per natura dell'animo suo, e anco per i delicati uffici che egli sostenne.
Ebbe sincere credenze religiose, ma fu tollerante delle opinioni altrui, perché voleva fossero rispettate le sue, e questo rispetto mai gli mancò.
Signori senatori, io vi prego di scusarmi se ho abusato un momento della vostra benevolenza, ricordando a voi cose note e ripetendo ciò che da altri assai meglio era stato detto. A questa breve commemorazione aggiungerò un ricordo, che forse vi sarà nuovo.
Baldassarre Paoli nacque nel popolo, era figlio di un artigiano. Ed egli, salito ai sommi gradi della magistratura, chiamato a far parte di questo consesso, non dimenticò la sua origine, né se ne vergognò mai; e fu così luminoso esempio e salutare ammaestramento alla democrazia, la quale, specchiandosi in lui ed imitandolo potrà convincersi che nei governi liberi a niuno è conteso di giungere agli alti onori dello Stato. (Bene, Benissimo).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 29 gennaio 1889.