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BALBO BERTONE DI SAMBUY Ernesto

12 aprile 1837 - 24 febbraio 1909 Nominato il 25 novembre 1883 per la categoria 03 - I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio provenienza Estero

Commemorazione

 

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente

Onorevoli colleghi. Innanzi di passare all'ordine del giorno, abbiamo a soddisfare il mesto dovere nostro, verso la memoria dei colleghi, che, dal principio di quest'anno, ad oggi, hanno chiuso gli occhi al giorno. [...]
Il 24 febbraio pur esso ne immerse in acerbissimo duolo. Più non ti vedrò, conte Ernesto Di Sambuy; più non ti mirerò dal tuo stallo ergere la nobile alta persona, dal porgere maestoso e garbato, dalla espressione franca, nitida e leale; più non udrò la tua parola ardente del vero e del bene, fiera contro ciò, che ti pareva ingiusto od errato, ma prudente e cortese sempre! Torino ha perduto il patrizio, che contribuì a sollevarla in giorni di abbattimento; il cittadino amoroso, che l'esistenza intiera spese a ridonarle vita e splendore. Del nome del conte Di Sambuy e dell'opera sua son pieni gli atti del comune, che l'ebbe consigliere 42 [sic] anni e sindaco. Parlano di lui il rinnovamento edilizio effettuato, gli abbellimenti portati alla città, le nuove vie aperte, i pubblici giardini formati alle nuove più dilettevoli foggie. La memoria non è dileguata del merito del sindaco Di Sambuy al successo di quelle esposizioni, onde fu Torino ammirata; e di quella sontuosità generosa data del proprio all'ospitalità torinese con i ricevimenti e le feste opime. Maravigliosa la figura ornatissima del nostro illustre commemorato dalla culla alla tomba. Nato in Vienna, standovi il padre ambasciatore; collegiale in Bruxelles; caro alla corte di Vittorio Emanuele II; viaggiatore in Arabia a parte di spedizione scientifica; arbitro delle eleganze nella società torinese; usato a tutti i diporti, alle produzioni tutte signorili; eppure intendente di scienze, colto nelle lettere e nelle arti, artista ei stesso ed accademico; ed, il più notevole, avveduto amministratore, politico sagace, qual noi lo conoscemmo ed apprezzammo.
Quanto nel comune, fu nel Parlamento premuroso e zelante; deputato alla Camera per il collegio di Susa a principio, poi in tre legislature per il collegio di Chieri; eletto in ultimo dal 1° collegio di Torino; e, date le dimissioni, nominato che fu sindaco della cospicua città, acquistato dal Senato nel 1883, e qui degno Vicepresidente nella XXI legislatura. Non fu soggetto conferente al bene dello Stato od alla pubblica utilità, che non avesse il soccorso delle sue cognizioni, della sua esperienza, del suo retto ed energico sentire. Se ne giovarono le commissioni governative e le parlamentari, in temi specialmente di belle arti, industrie e ferrovie. Nella cessata legislatura chiamarono l'attenzione nostra frequentemente i suoi discorsi e le sue proposte. L'ascoltammo nel parlar che fece, con la riconosciutagli competenza, dell'amministrazione comunale e provinciale, dell'esercizio della caccia, delle funicolari aeree, del reclutamento dell'esercito, del nostro regolamento interno; e sui bilanci dell'agricoltura, industria e commercio, delle poste e dei telegrafi, dell'istruzione, dei lavori pubblici e delle finanze. Le ultime parole, che ascoltammo dal senatore di Sambuy, furono da lui pronunciate per ritirare la sua interpellanza circa il duello, quando ebbe avuta notizia delle proposte del ministro guardasigilli, ad impedire quello, ch'ei disse disumano pregiudizio medioevale, istituto incivile e barbaro; animato da quella virtù, che lodò in altri, di esser nemico a quanto reputava ingiusto e violento. L'ultima sua voce in pubblico, egualmente scaturita dal generoso sentimento del cuore, si raccolse in Torino nella prima riunione del Comitato per il soccorso delle vittime del terremoto, esprimente la grande pietà di Torino e del Piemonte pei fratelli desolati; affermante i sentimenti di solidarietà Italiana, che vibrano ai piedi delle Alpi.
Quel cuore, che tanto sentì, ora più non batte; e quella salma, che la città intiera circondò di grato compianto, ed ebbe il bacio del principe, che volle essere in atto estremo di amico alle esequie, sarà rinchiusa nel sepolcreto fatto costruire dal defunto stesso nell'avita Chieri. Morendo nella fede dei suoi maggiori il conte Ernesto avrà avuto visione di riunirsi ad essi nell'altra vita, puro della coscienza di aver custodito l'onore del casato; trasmesso ai posteri immacolato il nome della prosapia; serbato vivo l'antico amore di Chieri repubblicana alla libertà; sacra la storica gloria dei cinquanta guerrieri dei Balbi a Legnano; osservata la devozione di Chieri alla casa di Savoia, poiché fu passata sotto il suo dominio; adorata la stella della gloriosa Casa al conquisto dell'indipendenza e dell'unità d'Italia. Noi, figurandoci l'eletto spirito nelle celesti sfere, mandiamogli ancora un estremo addio, con il voto che possa lassù gioire, leggendo ne' fati propizio l'avvenire della patria. (Approvazioni generali). [...]
CASANA, ministro della guerra.Alle parole già dette dall'egregio collega a nome del Governo, consenta il Senato che io aggiunga una parola non solo a nome del Governo, ma più specialmente a nome mio per ricordare la memoria del senatore Di Sambuy.
La parola alata del nostro illustre Presidente ce lo ha rievocato innanzi agli occhi. Egli ha ricordato tutto il passato di quella vita intemerata, ispirata continuamente dal sentimento del dovere, dall'amore del bello che egli portava in tutti gli atti della sua vita. L'amore pel paese suo fu così intenso che tutti noi ricordiamo come con intensa operosità egli sempre si adoperasse per tutto ciò che tornava a vantaggio ed a lustro d'Italia. Per conseguenza le parole dette dal nostro Presidente hanno trovato un'eco nell'anima nostra che per esse vide quasi fra noi rievocata la nobile figura del defunto collega. E ad esse non può che associarsi con tutto l'animo chiunque lo abbia conosciuto e seguito nella sua vita. Egli compendiava in sé tutte le virtù più nobili dell'evo passato, accompagnandole con le aspirazioni più intense e vive dell'epoca moderna, sempre rivolte al bene generale. Noi non possiamo che rimpiangere amaramente la sua figura e far pervenire alla vedova desolata e a tutta la famiglia l'espressione di tutta la nostra condoglianza. (Approvazioni vivissime). [...]
FROLA. Consenta il Senato che alle espressioni così nobili e alte pronunziate dal nostro illustre Presidente in rimpianto dei nostri colleghi, io aggiunga brevissime parole specialmente per il senatore conte Di Sambuy.
Io considero questo come un mio doveroso tributo verso quella città che egli ha tanto amata e che poté apprezzarlo per la sua opera, e verso l'insigne collega che abbiamo perduto.
Dopo le parole elevatissime pronunciate dal nostro illustre Presidente, io potrei anche ritenere superfluo qualsiasi altro accenno, solamente dirò che il conte Di Sambuy, vero patrizio, ricorda nel carattere, negli atti, nella feconda operosità l'antica nobiltà del Piemonte, ben nota nei fasti del risorgimento italiano.
Egli nella vita pubblica più volte lasciò delle orme e dei fatti che si ricorderanno certamente per lungo tempo; lasciò memoria in questo Senato, e nella nostra Torino, che noi ricorderemo sempre con viva riconoscenza e con viva gratitudine.
Per quanto si riferisce ai lavori del Senato, il nostro illustre Presidente ricordò ciò che l'onorevole Di Sambuy sostenne nei suoi ultimi anni, relativamente al duello. Io accennerò ad altri fatti, pur degni di nota.
Ricorderò specialmente la discussione sull'educazione popolare e sulla necessità dall'onorevole Di Sambuy rilevata di provvedere all'avvenire dell'esercito, questione che egli giustamente proclamava di alto patriottismo. Io ricorderò inoltre l'emendamento che ebbe a presentare alla legge comunale e provinciale relativamente alle modificazioni sulla maggioranza assoluta richiesta in determinate votazioni; e volle il fato che per la prima volta si applichi questo suo emendamento aggiunto, nel Consiglio di cui da tanti anni egli era lustro e decoro.
La sua parola giungeva sempre gradita ed opportuna nelle assemblee, ascoltata per la simpatica sua voce, per la frase elegante e propria e per i concetti che andava sempre esprimendo.
Per quanto avesse specialmente nei primordi della sua politica, appartenuto al partito moderato, a quel partito però che preparò l'unità d'Italia, nelle assemblee fu sempre liberale nei suoi principii, e nelle sue esplicazioni; così nelle grandi questioni che travagliano ora le città moderne ebbi sempre ad avere il conte Di Sambuy efficace coadiutore e di appoggio valente.
Artista, prudente amministratore, saggio uomo politico, pronto ad ogni entusiasmo rese servizi veramente preziosi alla patria e alla sua città alla quale era veramente orgoglioso di appartenere.
Il nostro illustre Presidente ricordò le ultime parole che pronunciò in pubblico: orbene io che presiedeva quel Comitato che sorse tosto nella nostra città per venire in aiuto alle disgraziate provincie colpite dall'immane disastro del terremoto del 28 dicembre 1908, ho ancora nella mente e sento risuonare nell'animo mio le parole elevate ultime che pronunziò in quella occasione e nella prima riunione del Comitato per le vittime del terremoto, volle dire la grande pietà di Torino e del Piemonte per i fratelli desolati e volle riaffermare i sentimenti di solidarietà che vibravano ai piedi delle Alpi. Era, come fu giustamente rilevato, nell'ora tragica il compiacimento di trovare l'Italia tutta con Torino concorde.
Rendiamo omaggio ad uomini così insigni, piangiamo con profondo cordoglio la loro dipartita e alle loro famiglie, alle loro città, alla patria esprimiamo il nostro vivissimo compianto.
(Approvazioni vivissime).
GESSI. [...]
E poiché ho la parola, mi consenta il Senato di aggiungere un cordiale rimpianto per la perdita di un altro carissimo collega, mio vecchio amico; collega dapprima nell'altro ramo del Parlamento fino al 1876, poi in private amministrazioni di comuni congiunti, ed infine, ahi per troppo breve tempo, in questo alto consesso.
Il conte Ernesto Di Sambuy, al quale hanno tributata molta lode il nostro egregio Presidente, il Governo ed il senatore Frola, discendeva da una di quelle nobili famiglie subalpine, nelle quali è tradizionale ed ereditario il culto alla libertà ed alla grandezza della patria, e la devozione inconcussa all'augusta dinastia che ha riunito in un sol fascio i destini delle sparse membra della patria.
Sindaco della nativa Torino, amministrò quell'importante comune con larghezza di vedute, con fermezza di carattere; organizzò e diresse con molto acume una esposizione che fu rivelazione di quanto Torino ed il Piemonte avessero progredito nelle arti, nelle industrie ed in ogni manifestazione dell'umana attività.
Di modi sempre distinti e cortesi, era caro ai colleghi, che ascoltavano volentieri la sua robusta e simpatica voce, la sua parola sobria e sempre ispirata a profonda convinzione della verità. Competentissimo nelle discipline agrarie e nelle industrie affini, ed altresì nelle belle arti, sostenne varie missioni di rappresentare l'Italia ad esposizioni estere, e diresse importanti lavori di abbellimento della sua Torino ed a Bologna.
Fu commissario della legge pel monumento nazionale al Re Vittorio Emanuele II, monumento che egli non doveva vedere compiuto.
Onore alla memoria di lui che ha lasciato indelebile orma dell'opera sua, per forse quarant'anni di vita parlamentare. (Approvazioni vivissime). [...]
MORRA DI LAVRIANO. Concittadino di Ernesto Di Sambuy ed amico suo affezionatissimo fino dall'infanzia, permetta il Senato che mi associ con una parola di compianto a quelle nobilissime dette dal nostro Presedente, dal Governo e dagli altri oratori, e vi aggiunga il voto che la sua instancabile operosità in ogni opera intrapresa, sia politica, sia sociale, sia amministrativa, serva di stimolo ai giovani che si iniziano alla vita pubblica; e la sua rettitudine nel seguire costantemente la stessa linea politica, sia essa pure di esempio a tutti coloro che dedicano l'opera loro al bene del nostro paese. (Benissimo).

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 27 marzo 1909.