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Partito repubblicano italiano (Pri)1 giugno 1921 - 1994

Il Partito repubblicano italiano, il più antico partito ancora esistente, si costituì come forza politica organizzata nel 1895, poco dopo la nascita del Partito socialista italiano. Nel suo programma, la pregiudiziale istituzionale si sostanziava con istanze di tipo sociale ed economico. In tutto il decennio giolittiano il Pri, riprendendo una tematica cara a Napoleone Colajanni, sottolineò con vigore l'importanza della questione meridionale affrontando, nel contempo, aspre battaglie sul piano economico, in particolare quella relativa al protezionismo. Tuttavia, la politica di apertura di Giolitti nei confronti dei partiti dell'Estrema Sinistra diede i suoi frutti anche nel campo repubblicano.
Nell'autunno del 1911 la guerra di Libia provocò una crisi politica di vaste dimensioni, che attraversò tutti i partiti della sinistra, all'interno dei quali si manifestava la presenza di uomini e gruppi i quali dichiararono più o meno apertamente di condividere le scelte del governo. Anche tra i repubblicani ci fu una grave rottura tra i vertici del gruppo parlamentare, guidato da Salvatore Barzilai, e il gruppo di giovani vicino ad Arcangelo Ghisleri. Ma nel 1912 il Congresso di Ancona troncò ogni dubbio, ribadì la condanna dei "libici" (così furono definiti gli uomini che avevano giustificato l'impresa coloniale) e affidò la guida del partito a Giovanni Conti e Oliviero Zuccarini. La nuova dirigenza iniziò un'opera di chiarimento, presto interrotta dalla guerra.
All'indomani dello scoppio della I guerra mondiale - mentre i gruppi conservatori e militaristi premevano perché l'Italia entrasse nel conflitto a fianco dell'Austria e della Germania - il Pri, che sempre si era opposto all'alleanza con i due Imperi centrali, lanciò la campagna per l'intervento, sottolineandone non solo le finalità nazionali, ma anche la prospettiva europeistica: costruire "la nuova Santa Alleanza dei popoli... gli Stati Uniti d'Europa". Alla fine del conflitto, il Pri tentò di riannodare il dialogo con le altre forze della sinistra, nella consapevolezza che le dure polemiche divampate durante tutta la guerra non avessero ormai più alcuna ragione di prolungarsi. Al Convegno di Firenze, che si svolse poco dopo la firma dell'armistizio, i repubblicani, oltre a riconfermare la loro piena adesione ai princìpi di Wilson, invitarono tutte le forze democratiche a battersi per la convocazione dell'Assemblea Costituente. L'appello, però, non ebbe l'esito sperato, anche per la svolta massimalista impressa al Psi dall'influenza della rivoluzione russa.
In quegli anni, il Pri tentò di realizzare un proprio programma di nascita del paese, non riuscendo però a concretizzarlo. Tuttavia, di fronte al montare del fenomeno fascista, non ebbe esitazione a condannarlo fin dalla sua nascita. La lotta tra repubblicani e fascisti si colorò ben presto di toni drammatici. I repubblicani furono costretti a difendersi dagli attacchi quotidiani dei fascisti e dei nazionalisti, ormai lanciati alla conquista del Paese. Il Pri colse da subito il nesso inscindibile tra la monarchia e il fascismo e non si fece grandi illusioni sul nuovo regime. Quando, dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti, l'opposizione antifascista si isterilì in un formalismo che portò l'Aventino a fallire tutti gli obiettivi, non volendo coinvolgere direttamente le masse popolari, il Pri non volle rompere il fronte, nonostante tutte le riserve che aveva sempre manifestato. Nella sua opposizione al fascismo, infatti, il Pri aveva cercato di favorire la formazione di movimenti trasversali che potessero rimediare alla rigidità degli schemi secondo i quali si erano mossi quasi tutti i partiti politici. Così, mentre Zuccarini faceva della sua rivista, La Critica Politica, il punto di aggregazione delle forze autonomistiche, Randolfo Pacciardi fondava l'associazione combattentistica Italia Libera, alla quale aderì la parte migliore e più decisa dell'antifascismo militante, da Carlo Rosselli a Ernesto Rossi, e che fu una delle prime organizzazioni antifasciste a subire i rigori della linea dura lanciata da Mussolini con il discorso del 3 gennaio 1925. In questi anni l'obiettivo del Pri fu quello di riuscire a dialogare con quei settori della società, i ceti medi, che erano stati più colpiti dalle trasformazione seguite alla guerra. Tuttavia, il tentativo risultò tardivo e non del tutto convinto, giacché parte del partito spingeva per una accentuazione di tipo socialistico del programma repubblicano.
Fallito anche l'ultimo tentativo fatto dai repubblicani nella seconda metà del 1925, dopo l'inevitabile sfaldamento dell'Aventino, di promuovere la formazione di una Concentrazione repubblicano-socialista, per la cui realizzazione si batté anche Rosselli, il 30 ottobre 1926 il fascismo assestava alle forze di opposizione il colpo decisivo. Tutti i partiti e tutti i giornali dell'opposizione furono soppressi. Per sfuggire all'arresto numerosi militanti e dirigenti del Pri furono costretti a prendere la via dell'esilio, mentre non pochi furono inviati al confino o arrestati per la loro attività antifascista. Anche nella lotta contro il regime il Pri non si chiuse in sé stesso, ma si mostrò disponibile ad alleanze tra tutte le forze democratiche, invitando i suoi iscritti rimasti in Italia ad aderire al movimento di Giustizia e Libertà.
Nella primavera del 1927 i repubblicani aderirono alla Concentrazione antifascista; di qui la lotta costante perché la concentrazione abbandonasse l'illusione legalitaria, la speranza,cioè, che l'Italia potesse riconquistare la propria libertà in virtù dell'intervento della dinastia. I repubblicani compresero, inoltre, che la lotta per la riconquista della libertà era subordinata al consolidamento delle democrazie europee, quasi dovunque minacciate da tentativi autoritari. Per far ciò, bisognava intensificare l'impegno europeista; e fu così che il patto unitario stretto con i repubblicani spagnoli nell'ottobre del 1928 si concluse con l'impegno di lavorare per la formazione degli Stati Uniti d'Europa, premessa indispensabile di ogni più vasto ordinamento della vita internazionale dei popoli. Perciò, gli esuli repubblicani raccolsero immediatamente l'appello lanciato da Carlo Rosselli nell'estate del 1936: "Oggi in Spagna, domani in Italia!". In tale occasione, una significativa conferma della centralità del Pri nella lotta contro il fascismo venne dal fatto che il comando del Battaglione Garibaldi fu affidato a Pacciardi.
Nel 1940 l'invasione nazista della Francia provocò la dispersione del gruppo dirigente repubblicano. I contatti, già tanto precari e difficili, tra i diversi gruppi ancora operanti, furono interrotti, e i militanti repubblicani si trovarono ad affrontare la dura realtà della guerra senza un centro operativo capace di unificare e dirigere la loro volontà di riscossa democratica. Di conseguenza, attorno al 1942, mentre in alcune regioni uomini delle vecchie e delle nuove generazioni confluivano nel Partito d'azione, che venne visto quasi come un prolungamento di GL e di un impegno unitario di cui per primi proprio i repubblicani avevano avvertito l'esigenza, in altre zone la base ritenne di non poter sacrificare l'autonomia politica del vecchio partito della democrazia risorgimentale. Conti e Zuccarini furono con Cino Macrelli i più decisi a sostenere questa seconda soluzione.
Dopo la liberazione di Roma, il Pri si mantenne estraneo al Comitato di Liberazione Nazionale, ma riconfermò la sua attiva presenza nei Cln provinciali delle zone occupate. Tra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 i repubblicani dettero il loro pieno contributo alla lotta di liberazione sia nelle brigate di GL sia nelle formazioni di partito, le Brigate Mazzini. Nell'Italia liberata la politica del Pri si caratterizzò, invece, per una serrata denuncia dell'indirizzo seguito dai governi del Cln, che traeva motivo dalla considerazione secondo cui non aver interrotto la continuità dello Stato monarchico avrebbe significato porre il Paese in una condizione non facile rispetto agli Alleati che quella continuità avrebbero fatto valere sul tavolo delle trattative di pace. L'uscita dal conflitto mondiale poneva al Paese grandi e numerosi problemi, per le drammatiche condizioni in cui si trovava. Un primo problema fu quello istituzionale. La posizione intransigente e radicale del Pri su tale questione condizionò non poco gli altri partiti. E questa linea esso mantenne sino al referendum, rifiutando di partecipare a qualsiasi coalizione di governo,sostenendo che monarchia e fascismo erano a tal punto inscindibili che,fino a quando fosse stata in vita l'una sarebbe stato sempre presente l'altro.
Il 2 giugno 1946 fu la Repubblica. Il Pri, che aveva guidato quella battaglia,portava alla Costituente 23 parlamentari; nell'autunno gli eletti della lista della Concentrazione Democratico Repubblicana (nata dalla scissione del Pd'A), Ugo La Malfa e Ferruccio Parri, entravano nel Pri. Caduta la monarchia, il Pri accettò per la prima volta di partecipare al governo, assieme ai tre grandi partiti di massa: Cino Macrelli e Cipriano Facchinetti lo rappresentarono nel II ministero De Gasperi. Nella Costituente, che doveva elaborare la Carta fondamentale della democrazia italiana, i repubblicani impegnarono le loro migliori energie e i loro uomini migliori,quali, ad esempio, Giovanni Conti, che ne fu vicepresidente.
Quando la divisione del mondo in due blocchi provocò la guerra fredda e questa portò alla scelta di campo senza mezze misure, De Gasperi formò un nuovo governo senza Pci e Psi, che passarono all'opposizione. L'unità nazionale era rotta. Il Paese era ormai diviso in due schieramenti: centrismo e frontismo. Il segretario del Pri, Pacciardi, scrisse su La Voce Repubblicana: "I repubblicani operano per tentare di ricucire una frattura di cui avvertono tutti i pericoli per la democrazia italiana". A rendere incolmabile l'abisso tra i due schieramenti intervenne la scissione del Psi, con l'uscita del gruppo raccolto attorno a Saragat.
Nasceva il Partito socialdemocratico italiano. Il pericolo di involuzioni dell'asse politico, l'impossibilità di avviare un qualsiasi discorso a sinistra, convinsero i repubblicani a collaborare con la Dc, con il disegno di spingere questo partito verso obiettivi di progresso sociale. Il Pri entrava, con Pacciardi, Sforza e Facchinetti, nel IV governo De Gasperi, che portò il Paese alle elezioni del 18 aprile 1948. L'accentuarsi delle frizioni internazionali tra Est ed Ovest e la presenza in Italia di un forte Partito comunista, saldamente legato al mito del socialismo sovietico, sviarono l'attenzione degli italiani: gli appelli del Pri a non dividersi tra comunisti e anticomunisti caddero nel vuoto. I partiti della democrazia laica furono pesantemente ridimensionati nel loro stesso ruolo; la Democrazia cristiana ottenne la maggioranza assoluta.
Il Pri si caratterizzava in quegli anni come un tenace assertore di soluzioni pragmatiche per affrontare i grossi nodi del Paese e liberarlo dagli stretti vincoli di vecchie strutture e di anguste visioni ideologiche, facendo riferimento all'esperienza dei paesi anglosassoni. Nel 1949 il Pri, con l'impegno di La Malfa, impose alla Dc il tema di una moderna riforma agraria. Fu una battaglia non facile, ma la riforma, primo decisivo passo verso la modernizzazione delle strutture economiche, fu realizzata. Nello stesso anno, nel 1950, fu creata la Cassa per il Mezzogiorno, primo tentativo di dare centralità al problema del Mezzogiorno e alla soluzione dei suoi storici problemi attraverso un massiccio intervento di capitale pubblico. Ma il provvedimento sul quale più si accanirono i ceti conservatori fu la liberalizzazione degli scambi. Gli industriali temevano che l'apertura delle frontiere avrebbe colpito a morte l'industria nazionale e si sentivano più sicuri dietro i vecchi schemi corporativi. La stessa Confederazione generale del lavoro, temendo per l'occupazione, si schierò contro. Ma la posizione del Pri e di Ugo La Malfa, che ricopriva l'incarico di ministro del Commercio con l'estero, prevalse sulle opposizioni e sulle titubanze. Nell'agosto del 1951 l'Italia, prima in Europa, si apriva all'Europa. Parallelamente alla nuova impostazione di politica economica, marciava l'impegno per dare all'Italia una politica estera democratica. Grazie all'impegno di Carlo Sforza, ministro degli Esteri, di concerto con De Gasperi, l'Italia entrò nell'Alleanza Atlantica. Lo stesso Sforza portò l'Italia ad aderire al nascente Consiglio d'Europa. Al termine della I legislatura, i repubblicani, preoccupati dalla possibilità di uno scivolamento in senso reazionario dell'asse politico, grazie alle crescenti lusinghe dei partiti di destra nei confronti della Dc, proposero una Costituente programmatica che unisse tutti i partiti laici. L'idea non fu accolta. Si pensò allora ad una modifica della legge elettorale che assicurasse ai partiti "apparentati" un premio di maggioranza nel caso in cui avessero ottenuto il 51 per cento dei voti. La legge fu definita "legge truffa" e fu duramente avversata. I repubblicani l'accettarono, non con l'obiettivo di dare alla Dc una maggioranza che già aveva, quanto di legarla con vincoli maggiori ai partiti laici. La legge fu approvata, ma nelle elezioni politiche del 1953 il quorum richiesto non scattò. Con quelle elezioni si chiudeva un ciclo politico. Iniziava il lento cammino per allargare l'area della partecipazione democratica. Gli anni della II legislatura repubblicana videro lo sforzo del Pri teso a cogliere ogni occasione per stimolare nella sinistra socialista e comunista una revisione politica ed ideologica che consentisse loro di uscire dal ghetto nel quale si erano relegate, ma furono anche gli anni nei quali esso si pose il problema di come garantire, e con quali strumenti, un più accelerato ritmo di sviluppo ed una maggiore soddisfazione delle esigenze sociali proprie di una moderna democrazia. Programmazione e politica dei redditi erano i contenuti di una politica riformatrice che i repubblicani additarono alle forze politiche e sociali già nella prima metà degli anni '50. Il XX Congresso del Pcus nel 1956 aprì le speranze alla possibilità che la sinistra socialista e comunista in Italia rivedesse finalmente le proprie posizioni. Il Pri aveva più volte sottolineato come l'impedimento alla creazione di una forte sinistra democratica nascesse dalla presenza degli stretti legami internazionali che questi partiti mantenevano con l'Unione Sovietica. Contemporaneamente il Pli,arroccato sempre più su posizioni conservatrici, subiva una scissione che porta alla nascita del Partito radicale. Era il Partito radicale di Mario Pannunzio, direttore de Il Mondo, di Ernesto Rossi, di Francesco Compagna, Vittorio De Caprariis, Mario Paggi. La nascita di questa nuova formazione venne salutata con simpatia dai repubblicani che videro allargarsi l'area di democrazia laica progressista. Ma l'allargamento della partecipazione democratica marciava contemporaneamente all'obiettivo dell'unificazione europea. Il Pri fu in prima linea, con Pacciardi, nel sostenere, d'intesa con il Movimento federalista europeo di Altiero Spinelli, la nascita della Comunità europea di difesa, progetto non realizzato a causa dell'opposizione della Francia. Alla fine della II legislatura il Pri, verificata la convergente impostazione con il Partito radicale, decideva di presentare liste in comune. Nel novembre dello stesso anno si riuniva a Firenze il XXVI Congresso Nazionale, che sanciva nel documento finale la necessità per il Paese di perseguire la ricerca di nuove formule politiche. Nel frattempo, il distacco del Psi dal Pci diveniva sempre più marcato e Pietro Nenni contribuì a riportare il suo partito su posizioni riformistiche. L'allargamento dell'area democratica, per il quale i repubblicani si battevano con tenacia, rischiò di essere compromesso nel 1960, con la costituzione del governo Tambroni, eletto con i voti determinanti del Movimento sociale italiano. La reazione popolare fu immediata e l'Italia si ritrovò in un clima di guerra civile. In questo frangente, il Pri si batté con decisione per bloccare il processo di degenerazione in atto, e la sua iniziativa fece sì che la crisi venisse superata con la costituzione di un monocolore Dc che ottenne la maggioranza, grazie al voto favorevole dei partiti laici e all'astensione del Psi. Il ritorno a condizioni di normalità permise al Pri di riprendere l'iniziativa per la costituzione del centrosinistra. Nell'autunno del 1960 il XXVII congresso dichiarò esaurita la formula centrista. Si arrivò così alla costituzione del governo Fanfani, il primo governo di centrosinistra, nel 1962, con Ugo La Malfa ministro del Bilancio. In quello stesso anno, La Malfa presentò la Nota aggiuntiva al bilancio dello Stato e indicò nella collaborazione di tutte le forze sociali intorno ad obiettivi prioritari, quali il Mezzogiorno e la piena occupazione, lo strumento indispensabile per assicurare continuità a quello sviluppo economico del quale si intravedeva l'esaurimento.Nasceva la programmazione. Prima realizzazione di quel governo fu la nazionalizzazione dell'energia elettrica che avrebbe dovuto garantire soprattutto nel Mezzogiorno la disponibilità di energia necessaria al suo sviluppo. Ma l'incomprensione del mondo imprenditoriale e del lavoro decretarono il fallimento della politica di piano. La spinta riformatrice che i repubblicani avrebbero voluto imprimere al centrosinistra, veniva così bloccata da queste tensioni. L'economia italiana si avviava verso una fase critica, mentre si allargava la spesa pubblica corrente a danno degli investimenti produttivi. La formula del centrosinistra andò perdendo slancio nel corso degli anni Sessanta. La stagione contrattuale del 1969, sull'onda delle agitazioni studentesche e dell'autunno caldo, fece saltare qualsiasi ipotesi di programmazione. La stabilità, ancora precaria, del sistema economico italiano, caratterizzato dalla presenza di una vasta fascia di disoccupazione, alla quale si sarebbe aggiunto pochi anni più tardi l'aumento dei costi energetici a seguito della crisi petrolifera, fu compromessa, e l'Italia si trovò in una condizione di crisi crescente che dal piano economico si spostò sempre più sul piano sociale e istituzionale. Il Pri, intravedendo tutti questi pericoli, richiamò l'attenzione delle forze politiche sulla necessità di considerare contemporaneamente i problemi dell'economia e quelli dello Stato. In questa linea, il Pri si batté perché leggi civili e moderne fossero realizzate: la legge istitutiva del divorzio porta la firma di Oronzo Reale; quella della riforma tributaria, di Bruno Visentini. Le condizioni di crescente e inarrestabile crisi dell'intera economia italiana destarono nel Pri la preoccupazione che l'Italia potesse uscire dal novero dei Paesi occidentali e "sprofondare nel Mediterraneo". Esaurita ormai l'esperienza di centrosinistra, il Pri indicò quale unica via di salvezza un accordo di emergenza fra tutte le forze politiche e sindacali, la solidarietà nazionale, che consentisse di bloccare il processo di degenerazione che investiva ormai tutte le strutture economiche, sociali e istituzionali. Il Paese era alla "Caporetto economica" come denunciò La Malfa, mentre si profilava una Caporetto morale con la crisi delle stesse istituzioni e dei valori che sorreggevano ogni convivenza sociale. La democrazia italiana appariva inerme di fronte all'attacco di un terrorismo dilagante che colpiva con spavalda sicurezza ogni elemento vitale dello Stato. Il Pri denunciò la situazione - frutto di crisi ricorrenti e sempre più gravi - e il rischio che ci si avviasse verso una spirale degenerativa. La gravità era tale da richiedere misure eccezionali, di qui il richiamo dei repubblicani all'emergenza, con il contributo di tutte le forze politiche e sociali. In questa prospettiva il Pri propose una politica di rigore che,attraverso il rilancio della programmazione riducesse la spesa pubblica controllando il processo inflattivo. L'adesione dell'Italia al Sistema monetario europeo era, in questa linea, una tappa importante.
Nelle elezioni presidenziali della metà del 1978, subito dopo l'assassinio di Aldo Moro e le dimissioni di Giovanni Leone, La Malfa fu candidato alla presidenza della Repubblica. L'ostilità dei socialisti di Bettino Craxi e il mancato appoggio di Enrico Berlinguer negarono questo sbocco al leader repubblicano. Nel febbraio del 1979, il Capo dello Stato affidò a Ugo La Malfa l'incarico di formare il nuovo governo, primo non democristiano nella storia dell'Italia repubblicana. Il tentativo non riuscì, e il 21 marzo venne varato il governo Andreotti, del quale La Malfa era vicepresidente. Cinque giorni dopo, egli scompariva, colto da un male improvviso. Nel settembre dello stesso anno, il Pri eleggeva Bruno Visentini presidente e Giovanni Spadolini segretario del partito. Nel 1981, nel pieno della crisi seguita allo scandalo della P2, venne varato il governo Spadolini, il primo dell'Italia repubblicana a guida non democristiana. Il governo durò fino alla fine del 1982 quando, in seguito a forti contrasti tra il Psi e la Dc, Spadolini diede le dimissioni e fu rinviato alle Camere dal presidente Pertini, un caso eccezionale. Alle elezioni del 1983, il Pri raggiunse il risultato elettorale migliore della sua storia, superando il 5%. Ai successivi governi guidati dal socialista Bettino Craxi, il Pri partecipò con una nutrita e qualificata delegazione,guidata da Spadolini che ebbe il ministero della Difesa e Visentini, che ebbe quello delle Finanze. Nonostante il periodo di stabilità di cui fruirono i governi Craxi, restarono però inalterati, anzi tesero ad aggravarsi, gli squilibri di fondo che caratterizzavano la società italiana, soprattutto nel divario di condizioni tra Nord e Sud del Paese. All'indomani delle elezioni del 14 giugno 1987, Giovanni Spadolini, dopo aver guidato per nove anni il Pri, venne eletto alla carica di presidente del Senato. Il 12 settembre dello stesso anno il Consiglio nazionale elesse Giorgio La Malfa segretario politico del Pri. Nel corso della legislatura si succedettero governi con una maggioranza di pentapartito, (Dc, Psi, Pri, Psdi, Pli) ai quali i repubblicani parteciparono, con spirito via via più critico. Nel maggio del 1989 si svolgeva a Rimini il XXXVII congresso, al termine del quale La Malfa era riconfermato alla segreteria e Bruno Visentini alla presidenza. Nel luglio dello stesso anno il Pri, in occasione della formazione del nuovo governo guidato da Andreotti sostenne che "non essendo numericamente determinante" si servava "un'ultima volta" di sostenere un governo fondato sull'alleanza tra Dc e Psi. Nell'aprile del 1991, infine, con la formazione del VII governo Andreotti, il Pri si dissociò dalla maggioranza e passò all'opposizione. Nel febbraio del 1992 cominciò a montare lo scandalo delle tangenti ai partiti che influì già sulle elezioni di aprile, che registrarono una flessione di tutti i partiti di governo e del Partito dei democratici di sinistra (erede del vecchio Pci) e l'affermazione della Lega. Il Pri ottenne, in quell'occasione, un ottimo risultato. Dopo le dimissioni di Francesco Cossiga, nella nuova elezione del capo dello Stato, il Pri sostenne senza successo la candidatura di Leo Valiani.
Nel mese di giugno '92 si costituì il nuovo governo presieduto da Giuliano Amato, ma il Pri decise di non votargli la fiducia, riservandosi di valutare l'azione del governo sui singoli provvedimenti. In ottobre nacque una nuova formazione politica, Alleanza democratica, promossa dallo stesso Pri, con lo scopo di accelerare il cammino delle riforme istituzionali. A novembre si svolse a Carrara il XXXVIII Congresso. Nella sua relazione, La Malfa mise in luce come, a fronte della crisi dell'intero sistema politico, occorresse "costruire un nuovo equilibrio politico che sia espressione di un rinnovamento delle idee, degli uomini e degli schieramenti politici". In questa prospettiva, i repubblicani, si dichiararono favorevoli ad una più ricca articolazione decentralizzata dello Stato. Ma, per affrontare la grande crisi politico-istituzionale dell'Italia, il Pri propose la realizzazione di un governo temporaneo svincolato dai partiti, sostenuto da un'ampia maggioranza, dalla Lega sino al Pds, con l'ingresso nell'esecutivo dei capigruppo parlamentari, per impegnarsi in una azione dura di risanamento economico e finanziario. Contestualmente i gruppi parlamentari avrebbero dovuto concentrarsi nella realizzazione delle necessarie riforme elettorali e costituzionali. Il Pri si interrogò anche sulla necessità o meno di partecipare alla realizzazione di nuove aggregazioni partitiche nella prospettiva di una semplificazione del quadro politico. Nel dibattito che si aprì tra tutti i repubblicani, La Malfa si espresse in termini prudenti, non escludendo la possibilità di dare vita ad un rassemblement sul tipo dell' Union de la démocratie française in Francia. Ad aprile del 1993 il governo Amato si dimise, come il Pri aveva chiesto già dal dicembre, e il 28 aprile si insediò il governo presieduto da Carlo Azeglio Ciampi. Nello stesso mese di aprile un referendum sulla legge elettorale decretò una larga scelta popolare a favore del sistema maggioritario e nel gennaio dell'anno successivo il Presidente della Repubblica sciolse anticipatamente le Camere. Nel marzo del 1994 si svolsero le elezioni politiche con il nuovo sistema elettorale maggioritario. Si confrontarono tre schieramenti, uno di centrodestra, guidato dalla nuova formazione politica, Forza Italia, fondata da Silvio Berlusconi, uno di centrosinistra e un terzo, il Patto per l'Italia, che vedeva riuniti il Ppi, il Patto per l'Italia, guidato da Mario Segni e il Pri. Questa scelta non fu indolore per il Pri, che dovette subire una importante scissione di quei settori del partito, tra cui lo stesso Visentini, che non la condivisero. Gli italiani preferirono, però, dividersi tra i due schieramenti estremi, penalizzando quello di centro. Con la vittoria del centrodestra, assumeva la guida del governo Silvio Berlusconi, che restava in carica sino a dicembre, quando l'uscita dalla maggioranza della Lega ne determinava la caduta.
In quei mesi, preso atto della impossibilità di dare vita a una alternativa centrista, il Pri decise di avvicinarsi alle forze di centrosinistra. Nel gennaio del 1995, Oscar Luigi Scalfaro affidò la guida del nuovo governo a Lamberto Dini (gennaio '95- gennaio '96), che era stato ministro del Tesoro nel precedente governo. Il repubblicano Guglielmo Negri venne chiamato a ricoprire l'incarico di sottosegretario alla Presidenza per i rapporti con il Parlamento. A marzo dello stesso anno si svolgeva a Roma il XXXIX congresso del Pri, che confermava le motivazioni della scelta di schieramento come unità nazionale e poneva al centro dell'azione politica il problema europeo, ovvero la necessità di uno sforzo straordinario per colmare la distanza dell'Italia rispetto alle condizioni poste dal trattato di Maastricht. A conclusione del congresso La Malfa era rieletto segretario nazionale, mentre Guglielmo Negri assumeva la presidenza del partito. A conferma delle scelte congressuali, in occasione delle elezioni politiche, ancora una volta anticipate, che si svolsero a maggio del 1996, il Pri decise di presentarsi nell'alleanza di centro-sinistra e nella quota proporzionale con il Ppi. Condizione pregiudiziale per i repubblicani era la politica europea e l'ingresso dell'Italia nell'euro. L'alleanza di centro-sinistra vinceva le elezioni grazie anche ad un accordo di desistenza con Rifondazione comunista e si costituiva il governo Prodi. Il contributo del Pri alla coalizione si manifestava nell'adesione dell'Italia all'euro. Nell'ottobre del 1998 il ritiro della fiducia da parte di Rifondazione comunista poneva fine al governo Prodi. Nel mese di novembre, nasceva il governo D'Alema. Il Pri non vi partecipò e nel voto di fiducia si astenne. Nel corso del 1999, il Pri accentuava le sue critiche nei confronti del governo e, insieme ai socialisti, usciti dal governo, e alla nuova formazione guidata da Cossiga, l'Urp, dava vita al "trifoglio", che determinava, con il suo voto contrario al decreto sulla "par condicio", la crisi del governo e la formazione del II governo D'Alema. A gennaio del 2000 si svolgeva il XLI congresso, che registrava una crescente insoddisfazione del Pri nei confronti dello schieramento di centrosinistra. Dopo il risultato negativo per la maggioranza nelle elezioni regionali dell'aprile 2000, D'Alema si dimetteva e il Capo dello Stato affidava la formazione del nuovo governo a Amato. Anche nei confronti di questo governo i repubblicani si astenevano. Il giudizio del Pri sull'esperienza di centrosinistra dell'intera legislatura era, alla fine, estremamente negativo. Mentre la legislatura si avviava alla fine, a gennaio del 2001 si svolgeva a Bari il XLII Congresso. Nonostante le perplessità avanzate da una parte dei delegati, la maggioranza considerò ormai chiusa per il Pri l'esperienza di centrosinistra.
Nelle elezioni politiche, che si svolsero a maggio, il Pri si presentò nella coalizione della Casa delle libertà e dopo la vittoria elettorale partecipò alla formazione del nuovo governo guidato da Berlusconi. Francesco Nucara diveniva sottosegretario al Ministero dell'ambiente, mentre La Malfa assumeva l'incarico di presidente della commissione finanze della Camera. Il 6 ottobre 2001 Giorgio La Malfa, dopo 14 anni, lasciava la segreteria del partito per assumerne la Presidenza. Nuovo segretario nazionale era Francesco Nucara.
Ad ottobre del 2002 il XLIII Congresso confermava le scelte del congresso di Bari e la collocazione del partito nell'alleanza della Casa delle libertà, pur ribadendo l'irrinunciabile valore della sua autonomia. A giugno del 2003 riprendevano le pubblicazioni della Voce Repubblicana.

L'archivio del Partito repubblicano italiano ha seguito gli spostamenti della propria sede nazionale in Roma. Da corso Vittorio Emanuele II a piazza dei Caprettari, per tornare, fino all'avvenuta donazione alla Fondazione Ugo La Malfa, nella sede originaria. I versamenti nella sede della Fondazione sono avvenuti in fasi diverse; il più recente, nell'estate 2004, ha arricchito in modo consistente il fondo, colmando ampie lacune della documentazione già in fase di riordino. Il fondo è stato dichiarato di notevole interesse storico dalla Soprintendenza archivistica per il Lazio (11 feb. 2003).

Partito repubblicano italiano (Pri)

1 giugno 1921 - 1994 La documentazione attualmente inventariata copre gli anni 1963-1994.

circa 40 metri lineari.

Riordino e inventariazione in corso (sw Gea) a cura di Cristina Farnetti, Francesca Garello e Lucia R. Petese, completato per alcune serie e sottoserie.

ricerca libera